Lo confesso: nonostante le censure, i boicottaggi ed i volantinaggi, il film «Il Codice Da Vinci» sono andato a vederlo! Non è un bel film: come generalmente accade, il libro originario è ben superiore alla sua trasposizione cinematografica che non riesce a rendere giustizia degli intrecci, dei simbolismi veri o presunti, della tensione presenti nel «romanzo» di Brown.
Certamente, il libro - e poi il film -, ha portato agli onori della cronaca gruppuscoli di integralisti cattolici finora sconosciuti al grande pubblico, un sentimento neoguelfo che fa sorridere la stragrande maggioranza degli italiani - compresi quelli che in chiesa ci vanno -, un fondamentalismo che avevamo - a torto! - attribuito solo all'Islâm o a certe posizioni di protestantesimo evangelico. Intendiamoci: le gerarchie religiose hanno tutto il diritto di ribadire a gran voce la loro interpretazione del Cristianesimo, ma il problema non è quello di una contrapposizione tra il Cristo della fede e il Cristo della storia, perché non si può contrapporre un'interpretazione teologica con una fiction romanzesca. Siamo su due piani assolutamente incommensurabili. La verità è un'altra e coinvolge il problema stesso della tolleranza - o, meglio, dell'intolleranza - storica del Cristianesimo nei confronti di chi non accetta - o accetta solo in parte - gli insegnamenti trasmessi dalle Chiese.
Domandarsi come avrebbe reagito il mondo islamico nei caso di un analogo romanzo sulla vita del Profeta, significa semplicemente sviare il problema, perché non possiamo parlare sempre di tolleranza e poi, quando siamo di fronte a realtà per noi scomode o antipatiche, dimenticarcene subito. Se il mondo occidentale ha dei valori superiori all'integralismo islamico - che, ricordato per inciso, non coincide coll'Islâm -, è anche grazie alla sua capacità di mettersi in discussione e di accettare il dissenso su tematiche - come quelle religiose - che non si pongono su un piano storico e scientifico, ma che investono il piano di una fede e di un'interpretazione irriducibili alla storia. Ma la tolleranza, all'Occidente, non l'ha certamente insegnata il Cristianesimo, perché viene invece dagli altri due filoni che costituiscono la nostra storia, e cioè la tradizione classica greco-romana e quella illuministico-massonica. Ridurre l'Occidente al solo evento cristiano - e del Cristianesimo storicamente vincente, per di più -, significa falsificare la storia, ridurne i valori, ignorarne il significato: questo potrà anche non piacere a determinati ambienti, ma è un fatto storico assodato e incontrovertibile.
Il libro di Brown, che da un punto di vista esoterico è praticamente inesistente, ha avuto il pregio di far riflettere il lettore sulla possibilità che esista anche un'altra versione della storia e della religione al di là di quella impostasi -anche con la forza!- colla Chiesa di Roma: non certamente quella leggenda dozzinale dei Re merovingi e del matrimonio di Gesù colla Maddalena, ma la possibilità stessa di concepire la storia, i simboli e le tradizioni in maniera diversa da quella ufficiale.
La reazione isterica e scomposta dei piccoli Bin Laden di casa nostra, è, ancora una volta, quella che affonda le radici nell'imposizione del Cristianesimo come religione ufficiale dell'Impero, del massacro cristiano della filosofa - pagana! - Ipazia, della proibizione degli antichi culti e nella cristianizzazione dei simboli e delle divinità pagane, della Crociate contro gli Albigesi e dei roghi delle streghe: ma se, allora, questi fatti potevano avere una spiegazione, le lamentazioni di lesa maestà dei nostri giorni sono soltanto battaglie di retroguardia e sussulti di un fanatismo duro a morire.
Accusare «Il Codice Da Vinci» di aver contribuito a scristianizzare la nostra società significa, ottusamente, chiudere gli occhi dinanzi a chiese sempre più vuote e ad una morale cristiana sempre più disattesa: in fondo, il successo del libro - meritato! - e quello del film - molto meno - sta a dimostrare questa evidente ma scomoda realtà.
*Vice Presidente (An)
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