La latitanza del super boss, Matteo Messina Denaro, indicato come il nuovo capo di Cosa nostra, comincia a vacillare. Un dato di fatto testimoniato da unoperazione condotta dalla polizia di Stato, finalizzata a sgominare la rete di fiancheggiatori del capo mafia, che, su disposizione della Procura distrettuale antimafia di Palermo, ha eseguito 19 fermi nella provincia di Trapani. Dall'operazione, denominata in codice Golem 2, è emerso che Messina Denaro, si serviva di insospettabili fiancheggiatori incaricati di gestirne la latitanza e di occuparsi degli affari della famiglia. Tra i fermati anche un nome eccellente: Salvatore Messina Denaro, fratello del super latitante.
Arrestati anche alcuni elementi di spicco delle cosche del trapanese, tra i quali i reggenti delle famiglie mafiose di Marsala, Castelvetrano, Partanna e Campobello di Mazara. Che avrebbero svolto un ruolo di raccordo tra Messina Denaro e i suoi affiliati, con i vertici dei gruppi mafiosi del Palermitano. Spiega, Vincenzo Nicoli, funzionario del servizio centrale operativo della polizia. «Dalle indagini, è emersa l'organizzazione di un vero e proprio servizio postale, utilizzato, negli ultimi quattordici anni di latitanza del padrino, per comunicare e impartire ordini, attraverso gli ormai famigerati pizzini. Un sistema consolidato, che Matteo Messina Denaro, metteva a frutto attraverso una rete capillare, formata da alcuni familiari e dai suoi fedelissimi».
Nell'operazione, sono stati impiegati oltre 200 agenti, con l'ausilio di unità elitrasportate, che hanno operato nella zona di Castelvetrano, il centro trapanese dovè nato il capo mafia. Effettuate anche 40 perquisizioni in diverse città italiane: Caltanissetta, Palermo, Imperia, Milano, Torino, Como, Siena e Lucca. Gli arrestati devono rispondere, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamenti e trasferimento fraudolento di società e valori. Secondo l'accusa, gli indagati farebbero parte della struttura mafiosa del Trapanese e costituiscono il seguito dell'operazione Golem 1 dello scorso giugno, condotta con l'obiettivo di disarticolare la rete di complicità che avrebbe favorito la latitanza di Matteo Messina Denaro. Sempre nell'ambito della stessa operazione, è stato chiesto all'autorità giudiziaria, il sequestro di alcune aziende che operano nel settore alimentare e della ristorazione, risultate, in modo fittizio, intestate a prestanome di parenti del boss trapanese e di affiliati al mandamento mafioso di Castelvetrano.
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