Il Friuli è una delle regioni più omogenee e caratterizzate dal punto di vista culturale e, in pari tempo, anche delle meno conosciute d'Italia. La maggioranza degli italiani non sa neppure pronunziarne correttamente il nome. Molti dicono Friuli, anziché Friùli, a volte persino i veneti, ossia i vicini; e Friuli dicono gli speaker della televisione, anche se per loro la ricerca della corretta pronunzia dei nomi dovrebbe far parte dei doveri professionali.
Molti pensano che si tratti dell'estrema propaggine nordica del Veneto, forse per il fatto che il Friuli appartenne effettivamente alla Repubblica di Venezia per più di tre secoli, dal 1420 al 1797. Invece vi è un abisso tra la cultura veneta e quella friulana. Altri pensano che il Friuli sia il territorio di Trieste, mentre la città giuliana è semplicemente la capitale della Regione a statuto speciale che entrambi li comprende. Inoltre tra il Friuli e Trieste le affinità culturali sono scarse, quasi inesistenti. Altri ancora ritengono che la vera capitale del Friuli, Udine, sia una città posta in mezzo alle montagne, come Aosta, o Sondrio o L'Aquila. Qualche incertezza esiste anche sui suoi confini, persino fra gli stessi friulani. Non sui confini geografici, ovviamente, ben tracciati sulle carte, ma piuttosto su quelli culturali: per esempio: Gorizia fa parte del Friuli? E Pordenone? Infatti molti, a Gorizia, sentono l'attrazione linguistica e culturale di Trieste, e sono orientati più verso la città giuliana che verso il Friuli. Meno incertezze vi sono per Pordenone, anche se in quella città per lo più non si parla il friulano, linguaggio ladino e neolatino (con limitati influssi celtici, tedeschi, slavi), ma una delle tante varianti del veneto. Non sono infrequenti in Friuli le dispute su questa materia. Forse sarebbe saggio concludere che il Friuli arriva fino dove ci sono abitanti che ritrovano la propria identità nel linguaggio e nella cultura friulana.
Dal punto di vista geografico il Friuli è molto vario. A nord vi è un'ampia zona montana, neanche questa di carattere uniforme. Infatti a occidente vi è la Carnia, le cui montagne sono quasi tutte verdi e ricoperte di abetaie o di faggete; a occidente invece i monti sono per lo più rocciosi, scoscesi, con vallate a volte strettissime. Sono monti chiusi, impenetrabili, che forse hanno qualche vago rapporto con le popolazioni friulane. Ma ogni tanto anche in Friuli ci si imbatte in montagne bellissime e imponenti, dove persino i rocciatori e gli alpinisti possono trovare tutto ciò che desiderano. Ricorderò ad esempio íl Coglians, il Canin, il Mangart, il Jôf Fuart, il Jôf di Montasio, le Ponze, il Sernio, che s'impongono sui monti circostanti come nobili feudatari sopra una folla di popolani.
Numerose e ben servite di ogni comfort sono anche le stazioni invernali, dove si possono praticare gli sport della neve: Sella Nevea, Tarvisio, Piancavallo, Pramollo, Forni di Sopra. Però non sono stazioni famosissime, che attirino gli sportivi da lontano. Come accade spesso in Friuli, la bellezza dei luoghi è superiore alla loro rinomanza.
Però il Friuli più bello e suggestivo è certamente quello prealpino e collinare. Si tratta di una larga fascia che ha lo stesso andamento direzionale delle Alpi Giulie, e va da Maniago a Gorizia. Una serie di ondulazioni più o meno accentuate, verdissime, con antichi castelli, borghi o cittadine arroccate sulle cime; esse danno quasi l'impressione di essere in Toscana, in Umbria o nella Marca urbinate; con la differenza, però, che da ogni punto sono sempre visibili le montagne.
Dalla parte opposta c'è la pianura. Se non la si vede direttamente, la s'indovina, per così dire. Se ne ha il sentore. La montagna domina il Friuli a nord, a levante e a ponente, con un arco la cui bellezza colpì l'immaginazione di famosi scrittori-viaggiatori europei. Il friulano della Alta è abituato a vederla; che essa chiuda i suoi orizzonti, con un grande semicerchio azzurro, è per lui un elemento del suo stesso sentimento del vivere. La montagna è il suo punto di riferimento; è un elemento del suo paesaggio quotidiano, la sua bussola, la sua stella polare. E infatti egli, quando si trova a percorrere il labirinto di strade della Bassa, dove le montagne non si vedono quasi più, o si riducono a una variazione insignificante dell'orizzonte, ha come la sensazione di aver perduto la trebisonda, e per raggiungere le sue mete deve continuamente consultare le mappe e le indicazioni stradali.
Eppure anche la Bassa è Friuli. Un Friuli geograficamente diverso, a suo modo ricco di fascino, con una geometria ben disegnata di colture opulente, di campi lavorati con una perfezione che ricorda quella delle campagne emiliane, venete o lombarde. Il Basso Friuli, benché non privo d'industrie, specie nella zona compresa tra i fiumi Aussa e Corno, è prevalentemente agricolo, e la terra è fertile e generosa. Il Friuli medio e collinare, specie nel secondo dopoguerra, si è venuto industrializzando, in particolare lungo le strade di maggiore importanza, secondo moduli sociologicamente felici. Infatti non si è trattato di una industrializzazione violenta, di quelle che sconvolgono rovinosamente una cultura e un costume. Il Friuli ha sentito assai meno di altre regioni i contraccolpi della rivoluzione industriale. Civiltà agricola e artigianale hanno trovato una convivenza non troppo ricca di contrasti con l'industria.
Spesso l'operaio friulano è rimasto nell'anima l'artigiano e il contadino di un tempo; a volte è proprietario di qualche campo, che lavora durante il fine settimana; e non gli pare gran sacrificio, perché ama il lavoro, da cui si distacca con fatica, essendo per lo più estraneo all'edonismo e alla corsa al divertimento tipici dei nostri tempi. Il Friuli possiede un'industria piccola e media, che è la più redditizia e la più umana. Infatti in essa proprietari, impiegati e operai si conoscono tutti direttamente e si stimano. In essa non si generano lotte sociali iperboliche e rovinose. È la più adatta all'antica vocazione artigianale del Friuli. Infatti oggi da noi si producono coltelli, industrialmente, dove anche un tempo, e anzi da secoli, gli artigiani tempravano lame d'acciaio nelle loro nere officine. Così è per i salotti, le sedie, i mobili da cucina, le pantofole e via dicendo. La crescita e la modificazione economica della regione è avvenuta in modi più naturali che altrove. Anche qui; ovviamente, l'industrializzazione ha mutato la concezione della vita. Anche qui c'è stato il fenomeno della laicizzazione, del crollo delle nascite, della droga. Ma non si è sviluppata la violenza, o la diffusione delle utopie sovversive, e la gente è rimasta fedele a un modello di convivenza civile, dignitosa, che ha radici antiche. Esse sono forse un po' legate alla civiltà veneta, che ci ha dominati per tanto tempo, ma che ci ha anche insegnato tante cose.
Con l'avvento dell'industrializzazione, e dopo il terremoto, è quasi cessato in Friuli il fenomeno imponente dell'emigrazione, che ha caratterizzato tutta la nostra storia, e ci ha modellato lo spirito in maniera particolare. Nei tempi dell'esuberanza demografica non c'era abbastanza terra o lavoro per tutti. Così i friulani andavano a cercare l'una e l'altro dovunque li trovassero. A volte vicino, entro i vecchi confini dell'Impero Asburgico, o comunque in Europa. A volte lontanissimo, arrivando fin nel cuore della Siberia, in Alaska, in Patagonia, in Oceania. La loro unica ricchezza consisteva nel fare bene un mestiere. Erano operai o artigiani che, lavorando, riuscivano a realizzarsi e a far tacere nel loro inconscio collettivo il complesso della sudditanza, e quello della precarietà della vita e delle cose della storia, nati da tante sventure e da tante invasioni subite.
Furono e sono tuttora, gli ambasciatori e la prova vivente delle qualità del popolo friulano. Il Friuli non ha mai avuto un Giorgione, un Rossini o un Verga per farsi conoscere nel mondo. Non è terra di geni, di grandi artisti o grandi scienziati. Ma i suoi operai e piccoli imprenditori dovunque hanno prodotto la fortuna propria e di quelli per cui lavoravano. E proprio per questo sta avendo un ottimo successo un'iniziativa di industriali e di operatori economici, inventata e pilotata dalla Camera di Commercio Friulana e dal suo presidente, Gianni Bravo: l'iniziativa che va sotto il nome di: «Made in Friuli». Un'etichetta di sicura riuscita, perché i friulani ciò che fanno lo fanno bene, e chi acquista i loro vini, le sedie o le cucine, può esser sicuro di aver fatto un'ottima scelta. Ma la crescita del Friuli non è soltanto economica. È anche culturale. Abituati da secoli a essere soggetti a qualche padrone (i romani, i barbari, i veneziani, i francesi, gli austriaci) i friulani avevano finito per maturare una sorta di complesso d'inferiorità, che ora però stanno faticosamente superando. Credevano di dover essere «sottani» di qualcuno per fatalità e per destino.
Dopo la seconda guerra mondiale, e soprattutto dopo l'avvento della Regione a statuto speciale, hanno cominciato a essere orgogliosi della loro civiltà di contadini e artigiani, del loro linguaggio, delle loro tradizioni, della loro letteratura, dei canti popolari, dei costumi, delle favole, e così via. Si resero conto che ciò che avevano prodotto nel corso dei secoli, se non poteva essere avvicinato per livello a quanto era nato a Venezia, a Firenze, a Roma o a Napoli, tuttavia aveva una propria dignità, un carattere. Che doveva essere amato soprattutto perché era nostro, e perché in esso ritrovavano una parte di noi stessi. Così nacque anche in Friuli un misurato sentimento di «protagonismo», e si sviluppò la coscienza di una autonomia e di una originalità della nostra cultura. Scoprimmo di essere una piccola nazione, inserita nella nazione più grande. Del resto il Friuli si chiamò Piccola Patria fin dall'epoca del Patriarcato.
Nacque anche un nazionalismo friulano che a volte andava oltre il limite, anche se in forme non avvelenate o perniciose. Si sviluppò la convinzione che non esisteva alcuna fatalità per cui il destino dei friulani doveva essere pilotato per forza da altri, e questa è sempre la condizione primaria perché le cose possano modificarsi in meglio. Infatti in Friuli un po' tutte le cose stanno cambiando. Vi è una crisi di crescenza in ogni settore. Ora il Friuli sta diventando persino una regione turistica. Le nostre spiagge, e soprattutto quella di Lignano, ospitano d'estate centinaia di migliaia di persone. Da Pasqua in poi per le vie di Udine si sente parlare il tedesco, l'inglese, il francese, lo sloveno dai gitanti venuti da oltre i confini. I turisti più colti raggiungono anche località che offrono richiami archeologici o artistici di qualche peso: Aquileia romana e paleocristiana; Cividale, una delle città italiane più ricche di monumenti dell'età barbarica e soprattutto longobarda; e poi Spilimbergo, San Daniele, Grado, Tolmezzo, Gemona, distrutta dal terremoto, ma già in fase di avanzata ricostruzione. Il Friuli non è più soltanto un luogo di transito per andare in Austria o in altri paesi della Mitteleuropa. È anche un luogo dove ci si ferma per guardare, conoscere, ammirare, divertirsi, mangiar bene.
E dove il turista, soprattutto quello proveniente dalle metropoli chiassose e intasate, può ritrovare l'atmosfera distesa, misurata, discreta, genuina, profondamente umana, di una provincia legata ancora alla civiltà contadina, ma dove già si respira un'aria europea.
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