Il terrorista torna in cella E continua la caccia ai complici del kamikaze

Molto probabilmente, si è trattato solo di un gesto dimostrativo. Mohamed Israfel, il libico considerato il complice del kamikaze che lo scorso 12 ottobre si è fatto saltare davanti alla caserma «Santa Barbara» di piazzale Perrucchetti, giovedì sera ha tentato il suicidio nel carcere di Bergamo, dove è rinchiuso con l’accusa di concorso in strage. È stato fermato dagli agenti della polizia penitenziaria, che - entrando nella sua cella - l’hanno trovato mentre tentava di legarsi un lenzuolo attorno al collo per impiccarsi. Ma Israfel sta bene. Le sue condizioni di salute sono buone, fanno sapere dal penitenziario, ed è di nuovo nella sua cella singola, sorvegliato a vista.
«L’ospedale - spiega Antonino Porcino, direttore della struttura penitenziaria di Bergamo - lo ha dimesso dopo appena 24 ore. Il suo gesto, che secondo i medici sarebbe stato causato da un attacco d’ansia, non ha lasciato conseguenze a livello fisico». Il 33enne libico, che due settimane fa aveva anche cominciato uno sciopero della fame sospeso solo da qualche giorno, si è sempre proclamato innocente. Aveva chiesto di essere nuovamente sentito dai pm che indagano sull’attentato alla Perrucchetti, perché - spiega il suo legale, l’avvocato Alessandro Petti - «non riesce a darsi pace per il fatto di aver raccontato tutto ai magistrati e di non essere stato creduto». Una richiesta, quella del presunto terrorista, assecondata dal pubblico ministero Maurizio Romanelli, che nei prossimo giorni tornerà a sentire Israfel. Sul quale, però, pesano alcune testimonianze che lo ritraggono mentre - assieme a Mohamed Game, il kamikaze - frequenta siti jihadisti, e si procura il materiale necessario a fabbricare l’esplosivo usato per compiere l’attentato.
Di sicuro, però, l’inchiesta non è chiusa. Quella che all’inizio era stata indicata come una cellula «chiusa» e limitata alle tre persone (Game, Israfel e Hady Abdelaziz Mahmoud Kol) assicurate alla giustizia, si sta rivelando in realtà una rete più vasta e ramificata. Dalle indagini della Digos e della procura, infatti, è emerso che altri musulmani si erano avvicinati al gruppo responsabile dell’attacco alla Santa Barbara. Stranieri integrati nel tessuto della città, incensurati e di basso profilo.

In altre parole, soggetti ideali per sfuggire alle maglie degli investigatori, sempre più impegnati a fare i conti con una nuova leva di fanatici: i terroristi «fai da te», la cui improvvisazione è al tempo stesso il loro limite (Game è stato l’unico ferito del suo stesso attentato) e la loro pericolosità.

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