Sport

Terzo tempo? Bastava il secondo Così comincia l’era del fair-play

La stretta di mano obbligata non piace a nessuno, anche perché esisteva già. Così a Empoli si sono pure baciati

È nato male. Diciamolo. Quel nome «terzo tempo» è stata una toppa colossale. Oggi raccomandiamo a Pato di informarsi sulla storia del Milan (alla voce Rivera), ma tutti quelli che hanno sdottorato (senza saperne) circa usi e costumi del rugby ed hanno parlato di terzo tempo, hanno rimediato peggior figura. Allora chiamiamolo più semplicemente fair play. E ieri è partita l’era della costrizione al fair play nel calcio. Costrizione che suona male, ma legge la realtà. Costrizione e non piacere, perché non c’è nulla, come il calcio e il suo mondo, che riesca a tramutare il fiore in spina, l’oro in ferro, il pane in carbone.
Direte: miracolosi! Sì, ma al contrario. E la costrizione al fair play lo dimostra: nata da quel gesto spontaneo dei giocatori della Fiorentina nei confronti degli interisti e così pure da quello dell’Inter nei confronti del Milan, appena diventato campione del mondo, ha fatto sollevare tanto di ciglia, spinto alla smorfia più che all’applauso, appena i solerti custodi delle mozioni dei sentimenti lo hanno reso obbligatorio. Alcuni allenatori, Mancini in testa, se ne sono scocciati. E così pure i giocatori. Era meglio lasciar spazio alla spontaneità e alla volontà di tutti noi e non a quella dei dirigenti, hanno detto in sintesi. In realtà è questione di sangue, di Dna. La gente del rugby, ma anche quella della pallavolo, della boxe, della scherma, del basket, del football americano e altri ce ne sarebbero, sente il saluto finale come un tutt’uno con la gara, la degna conclusione, anche se si sono sprecate ingiustizie, botte, spigolosità. Nel calcio no. Ognuno vuol rimanere padrone dei propri sentimenti. Si può dimenticare tutto o covare qualche rancore. «Se uno mi sta antipatico, non vedo perché devo salutarlo», ha sempre detto Mancini per sostenere il suo pollice verso all’obbligatorietà del gesto, non all’idea. Si può simulare senza pentirsene. È consentito picchiarsi senza bisogno di chiedere scusa. Insomma si può salutare a fine partita oppure no. In realtà il saluto del fair play esiste anche nel pallone: avete mai fatto caso a strette di mano, abbracci, qualche bacio, subito dopo la conclusione o mentre i giocatori scendono negli spogliatoi? Pure quello è fair play, senza bisogno di codificarlo. Solo i dirigenti che amano la lacrima sul viso non se ne sono accorti. E forse hanno rovinato quelle due-tre foto che hanno fatto sperare tutti noi: magari cambia qualcosa, magari i fiori del calcio non appassiscono subito. Bastava lasciar prendere il largo alla moda, senza appropriarsene per raccogliere qualche voto a futura memoria.
In questo senso hanno ragione calciatori e tecnici: non sono proprio così abbrutiti. Certo, poi qualcuno ricorderà le urla di Serse Cosmi contro Nedved, quel giorno lontano a Perugia. Non fu proprio galanteria da finale di partita. Le lezioni del calcio, in tal senso, si sprecano. E ieri Enrico Preziosi, presidente del Genoa, gentleman di questi tempi, ha spiegato che l’ipocrisia nel pallone non piace. «Iniziativa forzata e stridente. Se sono arrabbiato, sono costretto a darti la mano altrimenti mi squalificano? Tutto questo stride con la genuinità di un comportamento». Come volevasi dimostrare.
Ieri ci si è messo anche il tempo, nel senso meteo. I ragazzi primavera di Milan e Udinese dovevano inaugurare l’iniziativa e cosa ti fa la pioggia? Allaga il campo, partita rinviata per impraticabilità. Primo esempio della serie «idea nata male». Che rischia di finir peggio.
In compenso ha giocato la serie B, ci hanno provato le avanguardie della serie A, con ragazzi di Empoli e Reggina che - per non farsi mancare nulla - si sono pure abbracciati e baciati. Qualcuno, prima o poi, più prima che poi, riuscirà anche a dimenticare il cerimoniale che prevede gli arbitri schierati a centrocampo e le squadre che scorrono davanti alla linea di metà campo come fosse la rete che separa i giocatori della pallavolo. Possono partecipare tutti, pure panchinari e dirigenti. Vedrete: si passerà dalla grande ammucchiata alla grande fuga.

Come si diceva una volta? Nel calcio è sempre carnevale.

Commenti