Il testamento biologico divide la sinistra

da Roma

Parleranno medici, uomini di chiesa ed esperti di privacy. Il dibattito al Senato sul testamento biologico per cercare una norma che regoli i diritti del malato sulla spinta del «caso Welby» è partito ieri un po’ in salita. Tutti sono vicini a Piergiorgio Welby, il sessantenne malato di distrofia muscolare che da mesi chiede di morire. Ma l’urgenza dell’avvio dei lavori non ha nascosto le tante posizioni distanti nelle commissioni Giustizia e Sanità, che devono trovare una norma per colmare il «vuoto legislativo» in materia di testamento biologico e accanimento terapeutico. Ieri sono stati sentiti dalla commissione Sanità alcuni rappresentanti dell’associazione Luca Coscioni vicina ai radicali: «Sul testamento biologico l’Unione è divisa», è stata la loro prima impressione.
Esperti in materia, nell’associazione hanno idee e suggerimenti precisi: «La revoca del consenso al trattamento sanitario - hanno spiegato - deve riguardare anche l’idratazione e la nutrizione assistita». E il testamento biologico deve essere «vincolante». Senza questi pilastri «la legge non avrebbe alcuna valenza». Il rischio che l’associazione sottolinea è che «vengano posti tanti e tali paletti incrociati» da parte della «sinistra» che «alla fine la legge non servirà a nessuno».
Il presidente della commissione Sanità del Senato, il professor Ignazio Marino, annuncia che sono in programma «altre dieci audizioni a partire da gennaio». Saranno invitati monsignor Ignazio Carrasco De Paula, l’ex Garante della privacy Stefano Rodotà e Umberto Veronesi. I lavori, ha chiarito il senatore Ds, «devono procedere con rigore e con tempi adeguati che sono ovviamente completamente separati da quelli di altre vicende anche drammatiche ma di cronaca». Marino ieri ha mandato un appello a Welby dalle colonne di Repubblica: «Aspetta a staccare la spina», gli ha scritto. E ha annunciato che tornerà «a trovarlo in settimana». Mantiene la sua posizione anche il ministro della Salute Livia Turco, che si è detta «convinta» che una persona possa vivere anche se molto sofferente «se non si trova sola, se è sostenuta, se ha le cure e il sostegno umano e psicologico adeguato».
Ma se il ministro si era trovata d’accordo con la sentenza del tribunale civile in cui si rigettava il ricorso di Welby per morire, il senatore dei Ds Furio Colombo al contrario l’attacca. «Sentenza pilatesca - sostiene l’ex direttore dell’Unità -. Il diritto del soggetto a rifiutare le cure è tutelato dalla Costituzione». Sul merito delle norme da approvare anche nei Ds ci sono posizioni distinte. Il senatore dell’Ulivo Felice Casson, relatore in commissione Giustizia dei disegni di legge sul testamento biologico, propone che il testo finale preveda «l’esonero di ogni responsabilità, anche penale, per il medico che si attiene alle direttive del paziente». Secondo qualcuno l’argomento si sta affrontando con troppa fretta. La senatrice dell’Udc Sandra Monacelli protesta contro «l’accelerata» della commissione Giustizia.


La Chiesa continua invece a lanciare il suo messaggio per la vita: «Sì alle cure palliative, no all’accanimento terapeutico, no anche all’eutanasia», dice il cardinale Javer Lozano Barragan, presidente del Pontificio consiglio per la pastorale della salute. La vita «è sacra per tutti», ha ribadito l’arcivescovo di Napoli, il cardinale Vincenzo Sepe. Ed «è il dono più grande di Dio. Non c’è un uomo sano di categoria A e un malato di categoria B».

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