Politica

Via Teulada, ore 20: si va in scena

Cronaca della manifestazione contro la chiusura di «Porta a porta», «Ballarò», «Annozero» e «L'ultima parola». Tra slogan dal sapore antico, bandiere e comparsate dei politici, il centrosinistra sperimenta ancora una volta che l'antiberlusconismo è l'unico collante.

ROMA - C'è sempre un buon motivo per scendere in piazza. In Italia destra e sinistra (ma un pochino di più la sinistra) l'hanno sempre pensata così. E dunque i fautori dei comizi e delle manifestazioni, i firmatori di appelli, gli indignati sempre e comunque potevano astenersi dal protestare contro lo stop forzoso a «Ballarò», «Annozero», «Porta a porta» e «L'ultima parola»? Certo che no!
Ieri sera alle 20 a Via Teulada, storica sede degli studi Rai, è andata in scena la protesta un po' girotondina organizzata dalla Fnsi, il sindacato unico dei giornalisti, contro il blocco deciso a maggioranza dal cda della tv pubblica dei talk show di approfondimento politico. Circa cinquecento persone si sono assembrate davanti al cancello aziendale, mentre su un camioncino era montato il palco con tanto di videowall. Pochi? Tanti? Di certo, non moltissimi.
BANDIERE. La prima cosa che colpisce è che quasi tutti i gruppetti di manifestanti hanno portato con sé i propri vessilli. Lo hanno fatto i ragazzi del «popolo viola», lo ha fatto Sinistra e Libertà. Persino il Partito comunista dei lavoratori è presente. C'è la Cgil e non potevano assentarsi i dipietristi dell'Italia dei Valori che di bandieroni ne portano una decina al punto che alcuni rimangono avviluppati per mancanza di mani libere. Un altro militante invece brandisce un vecchio televisore con sopra un cartello «Questo ormai non serve più». «È sempre così: si portano le bandiere e rimangono chiuse», ironizza un ragazzo «violaceo». Sorprende l'assenza di gadget del Pd al punto che una militante stende un drappo col simbolo del partito dietro al segretario Bersani intervistato dalle telecamere presenti. Eppure la sezione di Piazza Mazzini è veramente a un tiro di schioppo. Boh?
APPARIZIONI. L'applauso più grande, ovviamente, viene dispensato a Michele Santoro e alla sua équipe, Vauro, Giulia Innocenzi e Sandro Ruotolo inclusi. Marco Travaglio non c'è. Un giovane con macchina fotografica al collo si avvicina all'anchorman e gli domanda: «Ma non saremo un po' pochi? Vedo molti giornalisti... Insomma, la società civile...» Michele lo rassicura: «L'importante è che ci sia sensibilizzazione, poi il messaggio si diffonde». Non ha tutti i torti: anche il passaparola fa marketing.
PARTERRE. Tra la folla si riconoscono volti noti del giornalismo tv: il direttore di Rai News 24 Corradino Mineo, l'anchorman del Tg3 Maurizio Mannoni, Piero Badaloni, la giovane praticante del «Fatto Quotidiano», Lavinia Borromeo. Insomma, chi ci crede testimonia. La politica cerca di metterci il cappello. Di Bersani s'è già detto, accompagnato da Rosy Bindi, Paolo Gentiloni e Vincenzo Vita. Per l'Idv, assente Antonio Di Pietro, ci sono Leoluca Orlando e Giuseppe Giulietti. Anche Fausto Bertinotti ha fatto una comparsata. Con il suo ex compagno di partito Marco Ferrando nessun rancore. Presenti pure l'«apino» Bruno Tabacci e l'inossidabile Mario Segni. La prima sensazione che si prova è questa sia una delle poche occasioni per vedere un centrosinistra futuribile (Udc esclusa) tutto assieme. L'antiberlusconismo (perché di protestare contro Berlusconi si tratta) è ancora un buon collante.
SLOGAN. Il popolo viola, o quel che ne resta, tiene in mano alcuni cartelli con la scritta «Berlusconi. Minzolini ti assolve ma la storia ti condannerà». Scanzonata provocazione, il vero attacco lo riserveranno più tardi a Bruno Vespa. Un effetto straniante lo producono cori come «L'informazione non si tocca, la difenderemo con la lotta». Sembra che nel dna di quei ragazzi si sia trasmesso un gene che si pensava estinto. Meno male che la storia si ripete in farsa: passano anni luce, infatti, tra rivendicazioni operaie e difesa a oltranza di telegiornalisti superpagati. Più leggero il tono dissacratorio di slogan come «Santoro subito!».
GIORNALISMO. La manifestazione, come detto, è stata organizzata dal sindacato unico dei giornalisti, la Fnsi, e dalla sua costola di Viale Mazzini, l'Usigrai, per protestare contro la chiusura dei quattro programmi decisa dal consiglio di amministrazione sulla base di un regolamento di difficile applicazione. Per garantire la cosiddetta «par condicio», infatti, bisognerebbe ospitare nelle trasmissioni tutte quante le formazioni partecipanti alle prossime Regionali. Per non incorrere in sanzioni si sono chiuse le trasmissioni. «È come far esplodere la macchina per non prendere la multa per divieto di sosta», ha detto Giovanni Floris al pubblico presente per commemorare la chiusura di «Ballarò». Bruno Vespa, prendendosi bordate di fischi, ha ribadito il proprio dissenso pur precisando che «le leggi vanno rispettate». Ecco, per usare lo stesso paragone, è come se qualcuno avesse deciso di togliere la macchina a un amico o a un collega che ha l'abitudine di alzare un po' il gomito. Per non provocare incidenti. Non è bellissima, ma forse era l'unica soluzione possibile per non avere videoprocessi al presidente del Consiglio, pagati dai cittadini con il canone, anche in campagna elettorale.
RIFLESSIONE. Senza entrare nel merito dei compensi dei quattro anchormen «sospesi» e dei loro staff una riflessione però andrebbe fatta. Fnsi, Usigrai, Cgil, Pd, Idv, Sel e compagnia bella sono andati in piazza per difendere quello che, secondo loro, è stato un diritto conculcato. Sempre per parlare di giornalisti sarebbe bello vedere i medesimi scendere in piazza non tanto per i disoccupati (che in ogni categoria esistono), ma per quelle migliaia titolari di contratti di collaborazione che vedono ogni articolo pagato qualche decina di euro (anche 20 talvolta) al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali.

Ma quelle migliaia non hanno un nome spendibile come Michele Santoro, Giovanni Floris, Bruno Vespa e Gianluigi Paragone e sindacati e partiti non hanno nulla da guadagnarci.

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