Politica

La toga che nell'82 ritirò i passaporti ai campioni azzurri

Milano Certo che sarebbe triste se, di tutta que­sta storia un po’ inquietante e un po’ grottesca della nuova P2, l’unico a doverci rimettere la seggiola fosse proprio lui: Fofò, come lo chia­mano nelle intercettazioni. Ovvero Alfonso Marra, nato settantadue anni fa a Cicerale (« Terra quae cicera alit », il paese dove nasco­no i ceci) e arrivato con enorme fatica sulla pol­t­rona di presidente della Corte d’appello mila­nese. Perché se da un lato le intercettazioni de­positate dalla Procura di Roma dicono che lui, Fofò, combina e dice senza ritegno cose che un magistrato non dovrebbe né fare né dire, altret­tanto chiaro - a ricostruire la storia dei mesi scorsi- è che Marra su quella poltrona ci sareb­be arrivato ugualmente, senza le manovre mal­destre del trio di faccendieri. Per il terzetto che ruotava intorno a Carboni centrare l’obiettivo fu un successo accidentale, del tutto indipen­dente dal loro sbattersi e dalla loro influenza (nulla). Lui, Marra- riportino nero-inchio­stro perennemente scompigliato, im­perituro accento campano, tenden­za altrettanto invincibile a mangiarsi le parole al punto da rendere incom­prensibili persino i dispositivi delle sentenze- per ora tace. Le intercetta­zioni raccontano che per conquista­re l’agognata carica andò a bussare persino ad un personaggio inverosi­mile come il geometra Lombardi, il più folkloristico dei tre faccendieri. Ma- come a Milano e Roma tutti san­no - nelle settimane in cui il Csm do­veva assegnare la presidenza della Corte d’appello, ci furono pochi tele­foni importanti sui quali non arrivas­se una chiamata di Marra. Che per vincere doveva valicare un ostacolo quasi insormontabile: il fatto di esse­re stato appena nominato presiden­te della Corte d’appello di Brescia, al­tra carica per la quale aveva fatto fuo­co e fiamme. Ma alla fine,anche se di un’incolla­tura, Marra ce la fece: nonostante che dentro la sua stessa corrente, la centrista Unicost, ci fosse chi remava contro di lui. Co­me accadde? Alla fine, decisiva fu la sua biogra­fia: quella di un giudice sostanzialmente inno­cuo, incapace tanto di viltà che di eroismo. L’unica volta in tutta la sua vita in cui prese il coraggio a due mani fu quando - da sostituto procuratore- fece ritirare il passaporto a tutti e ventidue gli azzurri appena tornati vincitori dai Mondiali di Spagna, accusandoli di avere incassato sottobanco i soldi di uno sponsor. Apriti cielo, ovviamente. Passaporti restituiti, inchiesta chiusa. Passato a fare il giudice, Marra ha sempre fat­to il suo lavoro onestamente, senza scossoni e senza pestare i piedi. Tanto che quando un suo imputato lo incontrò in tram e lo riempì di bot­te la costernazione fu unanime, perché era considerato da tutti uno che condannava solo se c’erano le prove.Ha condannato e assolto,e così come tanti suoi colleghi ha fatto carriera, solidamente impiantato in quel correntone multiforme e accogliente che era Unicost, e che a Milano ha espresso anche il sostituto pro­curatore generale Giacomo Caliendo, oggi sot­tosegretario, grande amico di Marra, e anche lui inciampato nelle intercettazioni dei faccen­dieri. Anche nella rete di rapporti creata negli anni da «sindacalista» va, ovviamente, trovata la spiegazione della nomina di «Fofò» al massi­mo gradino della magistratura milanese.

Ma l’elemento decisivo fu la convinzione che il buon Marra non avrebbe creato grattacapi a nessuno: specie se confrontato all’altro candi­dato, quel mastino targato Magistratura demo­cratica di nome Renato Rordorf.

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