Toghe contro toghe Il Tar bacchetta il Csm: illegittima la nomina del procuratore «rosso»

RomaAncora una volta è il Tar a sparigliare le carte al Csm. I giudici amministrativi del Lazio accolgono il ricorso contro la nomina a Palazzo de’ Marescialli del togato Vittorio Borraccetti, ex procuratore di Venezia e tra i leader della corrente di sinistra, Magistratura democratica.
È stata illegittima, dicono, dando ragione a Carlo Fucci, sostituto procuratore di Santa Maria Capua Vetere e primo dei non eletti. Dovrebbe essere lui ora ad occupare la poltrona di Borraccetti: «Sono soddisfatto - dice - perché ho visto riconosciute le ragioni di un mio diritto. La mia è stata una richiesta di ripristino di legalità».
Ma il Csm, che ad ottobre si è opposto al suo ricorso al Tar, ora si prepara a resistere davanti al Consiglio di Stato, chiedendo la sospensione degli effetti immediatamente esecutivi.
L’arrivo di Fucci scombinerebbe la rigida lottizzazione dei togati in base alle correnti. L’ex segretario dell’Anm, dopo aver a lungo militato in «Unità per la Costituzione», ne è uscito polemicamente e a luglio si è candidato come «indipendente» al Csm. I colleghi della sua ex corrente lo vedono come il fumo negli occhi, Md ancor di più perché perderebbe un posto. Per giunta Fucci sarebbe il secondo togato autonomo, con Paolo Corder. Il quadro si complica perché nei prossimi giorni il Consiglio deciderà sulla possibile decadenza di un altro dei suoi membri, il laico della Lega Matteo Brigandì, accusato di non aver comunicato di essere amministratore di una società legata al suo partito prima dell’elezione.
Sul caso Borraccetti si celebra l’ultimo atto di una guerra tra l’organo di autogoverno della magistratura e i giudici amministrativi. Che sempre più spesso intervengono per capovolgere le scelte del Csm. Per seguire logiche correntizie si arriva infatti ad adattare disinvoltamente le regole, alla faccia di una rigorosa selezione.
Ogni volta Palazzo de’ Marescialli non ci sta e per tenersi stretto il suo potere ingaggia il braccio di ferro. Intromissioni, anche se per ristabilire il legittimo svolgimento della sua attività, non ne tollera proprio.
È successo anche per il «caso Palombarini» che, dopo 4 anni, quattro sentenze amministrative e altrettante delibere di Palazzo de’ Marescialli ancora non si chiude, malgrado tutti i protagonisti siano andati in pensione. Nel 2007 il Csm ha nominato Procuratore generale aggiunto della Cassazione il magistrato, anche lui tra i fondatori di Md. La decisione è stata impugnata dai candidati esclusi, cui il Consiglio di Stato ha dato ragione ingiungendo più volte al Csm di rifare la valutazione correttamente. Niente. Il mese scorso Palazzo de’ Marescialli ha fatto ricorso alle sezioni unite della Cassazione, accusando i giudici amministrativi di aver invaso le sue competenze. E la sentenza potrà rappresentare un punto fermo nel duello tra i due organi.
La questione di Borraccetti, intanto, dimostra come il precedente Csm abbia forzato le norme per soddisfare particolari interessi. La regola dice che un anno prima di compiere i 70 anni una toga può chiedere al Consiglio di rimanere in servizio fino ai 75. Borraccetti lo ha fatto solo 9 mesi prima e con lui un’altra decina di magistrati. Domanda in ritardo, a 69 anni compiuti, niente da fare.

E invece no: il Consiglio si inventa una delibera, a gennaio 2010, per superare l’ostacolo con una disciplina transitoria. E tutte le richieste vengono accolte. Il Tar del Lazio dice ora che il termine stabilito è «perentorio» e la delibera è annullata. Insomma, Borraccetti è stato eletto al Csm quando non era più magistrato.

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