Milano - Mezza Italia, ora, parla come lui. Anche se in discoteca, magari, ci ha messo piede una sola volta. C’è chi, via mail o su Facebook, ricorre al suo «nuooo» per scusarsi per un ritardo o un appuntamento mancato. Grazie a lui (o piuttosto a causa sua) i pantaloni «muccati» sono ormai una categoria estetica assodata, sdoganata al vivere civile. Presto, chissà, li si vedrà abbinati alla giacca, indosso a qualche collega in ufficio. Lui è Jonny Groove, o meglio Giovanni Vernia, il «discotecaro» di Zelig, quello che «ti stimo troppo, fratello», «spettacolo da paura», «e siamo noi, siamo noi, il Paradiso siamo noi», «presa!», quello del «pezzo che spacca»: puro e ingenuo quanto si vuole, ma anche drammaticamente fesso. Insomma, il figlio che qualsiasi genitore preferirebbe vedere... nella casa del vicino di pianerottolo. Ebbene, pochi sanno che dietro agli occhiali da sole bianchi, alla maglietta attillata senza maniche e all’espressione persa di Jonny sta, incredibilmente mimetizzato in una coltre di oblio cerebrale e di incessante ritmo house, un ingegnere
Giovanni Vernia, 35 anni - la vera rivelazione dell’ultima edizione di Zelig (e di ArciZelig, il varietà che a gennaio in prima serata su Canale 5 ha concesso il bis con nuovi numeri e nuovi volti, e che chiude proprio questa sera) - è quel che si dice una testa così: laureato in ingegneria elettronica a Genova con il massimo dei voti, cinque anni fa ha lasciato la città della Lanterna per Milano, dove è entrato in una grande società di consulenza americana e ha guadagnato i galloni di boss della «comunicazione e marketing on line». Roba forte, insomma. Lui sì, il figlio che ogni genitore vorrebbe sbandierare in società. E invece... la passione di Giovanni è quella di far ridere.
«L’ho sentita dentro sin da bambino - rivela Vernia -. Imitavo i parenti, nelle feste a casa cercavo la risata di tutti. Crescendo, ho cambiato bersaglio: al lavoro, puntavo i capi. E i colleghi a dirmi: “sei sprecato qui, devi tentare la strada dello spettacolo”. Io? Avevo un idolo, Alberto Sordi, ma mi sentivo piccolo. Mi dicevo che la tv era qualcosa di lontano, inarrivabile. Che non potevo campare in quel modo. Poi, alla fine, ho ceduto». Vale a dire, ha ceduto al sogno: Giovanni ha cominciato a seguire un corso di recitazione, si è specializzato in maschera comica, ha seguito laboratori di cabaret e poi, destino benevolo, è arrivato a casa Zelig. Dove Jonny Groove ha preso forma («L’erre moscia, che fa un po’ stupidotto, è nata a tavolino insieme a Rocco Barbaro»), si è fatto le spalle a Zelig Off e poi, finalmente, ha conquistato in questa stagione la prima serata del varietà numero uno del cabaret nazionale. Successo inaspettato, almeno in queste proporzioni: «Stupito io, certo, ma anche stupiti Gino, Michele e Giancarlo Bozzo, i padri di Zelig: loro contavano su un buon gradimento del pubblico, ma non tutto questo».
«Tutto questo» è un personaggio la cui canzone tormentone E siamo noi è arrivata seconda in classifica negli acquisti in rete su iTunes (sezione musica dance), ed è diventata la suoneria preferita sui telefonini dei giovani; è un personaggio che, a marzo, registrerà in dvd il suo primo spettacolo teatrale (titolo inevitabile: E siamo noi) per la collana «Gazzelig» della Gazzetta dello Sport, e che vedrà quello stesso spettacolo, dalla tarda primavera in poi, occupare piazze e teatri italiani. Jonny Groove, tra l’altro, nasce da un amore reale per la discoteca: «Non dico che mi vestivo così - spiega Vernia - ma ho sempre frequentato le discoteche. Ballavo bene e, così, attiravo le ragazze. Ora ci vado solo per le serate. Con Jonny non ho voluto prendere in giro i discotecari, ma dare loro un volto in qualche modo puro, lontano dalle solite notizie del sabato sera. Jonny non prende droghe, detesta, come me, i rave party, che sono solo degrado. Jonny è felice di ballare, e di tentarci con le tipe».
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