La toponomastica: la prima vittima del comunismo

Caro Granzotto, mi perdoni della mancanza di fiducia ma quando ho letto nel suo Angolo dell’esistenza di una via intitolata a Moranino, il famigerato «Giacca», non credevo ai miei occhi e così ho seguito il consiglio del lettore Alberto Zamberletti e sono andato su Google Maps. C’è proprio e questo è stupefacente: un condannato all’ergastolo per multipli omicidi e per di più latitante. Di Pietro può andarsi a riporre. Adesso m’è venuta una curiosità che forse lei può appagare: quante strade sono ancora a nome di personaggi più o meno truci del comunismo?
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Be’, fa ancora bella mostra di sé una via Stalin, che in quanto a truce comunista (qualche decina di milioni morti sulla coscienza) non è secondo a nessuno. Corre, la via Stalin, a fianco del cardo di Raffadali, in quel di Agrigento, ameno comune del quale è sindaco il dottor Silvio Marcello Maria Cuffaro, fratello di più noto Salvatore, detto «Totò vasa vasa» per il vezzo di schioccar baci a chiunque l’avvicini. Di vie Marx ce ne sono a bizzeffe: a Roma, a Carpi, a Voghera come a Sesto San Giovanni. E così di via Lenin, di via Che Guevara o di via Maresciallo Tito (una perfino nella placida Tricase, sul Tacco. Roba da matti). C’è una Via Ho Ci Min a Modena e una via Rivoluzione d’ottobre a Reggio Emilia. A Valli del Pasubio, in provincia di Vicenza, si snoda una via Mao Tse Tung, e Dio solo sa il perché, in quei pascoli. Una toponomastica, quella falce e martello, che non si può definire «storica» o «evocatrice», quanto piuttosto provocatoria, bullesca. Di sfida. Bisogna però aggiungere che quasi tutte quelle strade sono defilate se non proprio periferiche. Tutte salvo una, la più paradossale: corso Unione Sovietica, a Torino, che partendo dal «quartiere alto» della Crocetta, collega il centro alla periferia sud della città. Corso Unione Sovietica è un nonsenso. Ribattezzato così subito dopo la Liberazione (anticamente si chiamava viale Stupinigi, perché conduceva, appunto, alla settecentesca palazzina di caccia di Stupinigi. Una delle più riuscite, una delle più spettacolari realizzazioni di Filippo Juvarra: vale il viaggio. Varrebbe anche una sosta prolungata se facesse parte di un circuito delle residenze sabaude, ammesso che quei bogianen che si occupano del turismo piemontese volessero attrezzarlo turisticamente, invece di passare il tempo a girarsi i pollici), ribattezzato così, dicevo, per rendere omaggio alla casa madre del comunismo, oggi è un rottame anacronistico. L’Unione Sovietica non c’è più: non ha cambiato nome, non c’è proprio più anche perché - e soprattutto - non ci sono più i soviet dai quali «sovietica» discende dritta dritta. Che i comuni d’Italia abbiano sempre sentito il bisogno di riformare la toponomastica, è un fatto. Certi nomi sembravano troppo popolari, troppo poco stentorei o illustri. E così, per rimanere a Torino, viale dei Tigli diventò corso Massimo d’Azeglio, via dell’Albero fiorito via Corte d’appello, via del Cannon d’oro via San Massimo, via del Montone via Eleonora Duse, via Albergo delle Tre Corone via San Tommaso, Contrada dei Burattini via Monte di pietà e Contrada del Moschino via Eusebio Bava. Io dico che è un peccato, dico che a ribattezzare con piglio burocratico via dell’Albero fiorito in via Corte d’appello - ma per carità! - è stata una fesseria. Almeno lì per lì, col testosterone rosso che pulsava nella Torino del dopoguerra, declassare il viale Stupinigi a corso Unione Sovietica ebbe anche un senso.

Al sindaco Celeste Negarville, devotissimo a Baffone, rendere al paradiso dei lavoratori un omaggio toponomastico parve il minimo che si potesse fare: non poteva immaginare che come una confezione di cetriolini Saclà quel paradiso avesse una data di scadenza. Essendo scoccata quasi vent’anni fa, parrebbe dunque ragionevole riabilitare il viale Stupinigi, una delle tante vittime dell’unica ideologia che ha dovuto dichiarare bancarotta.

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