Dove c'era il Benito Mussolini, poi divenuto Comunale, stasera potrete vedere, in diretta mondiale, l'Olimpico di Torino. Lo hanno rimesso in piedi e mette nostalgia per quanto è diventato bello ma anche così diverso da quello che fu. Stasera in questo stadio ci saranno trentamila spettatori ma non saranno soli e i soli. Perché la cerimonia inaugurale dei Ventesimi Giochi invernali di Torino 2006 sarà davvero una cosa colossale che nemmeno gli americani se la sognerebbero. Prendete carta e penna e segnatevi i numeri: 6.100 volontari, 240 professionisti in staff, 15mila giornate di lavoro (senza una sola ora di sciopero e assemblea), 100mila pasti, 6.100 costumi, 5.500 paia di scarpe (che neppure la señora Marcos possedeva), 500 paia di pattini, 32 telecamere, 4000 metri quadrati di palcoscenico, 10mila metri quadrati di back stage, 8 tra magazzini, guardaroba, laboratori e affini), 6000 metri quadrati di camerini, 6mila kilowatt di potenza elettrica, con un bel 100 chilometri di cavi. Sono state 10mila le ore di prova per gestire regia, luci e audio e per perfezionare le coreografie.
Orbene tutto questo ben di Dio verrà racchiuso in tre ore scarse di spettacolo o di evento che dovrebbe portare a 2 miliardi di contatti mondiali sui canali televisivi. Il circo bianco è roba da bianchi, d’accordo, non so quale nazione africana possa esserne totalmente attirata, e pure l’Oceania e l’Asia fanno una certa fatica, se poi pensate al Sudamerica. Sarà una notte di ghiaccio e di fuoco, Torino s’aspetta di vivere la contraddizione delle contraddizioni: il ghiaccio che resiste alle fiamme. La cerimonia d’apertura sarà etnica e tecnologica, vuol rappresentare un’Italia che guarda al futuro per cogliere ogni opportunità. E Yuri Chechi impegnato a far sprigionare fiamme da un’incudine sarà il punto di partenza di una notte colorata che illuminerà Torino.
L’Olimpiade è una cosa diversa e Torino lo sta appena intuendo in queste ore ultime dove l’alveare sta impazzendo perché la città non è abituata a un tipo di impatto così clamoroso. E tutto in una volta le arrivano addosso nobili e regnanti, capi di Stato e atleti da ogni dove, artisti della musica, della moda, dello spettacolo, Armani e Moschino, il ballerino Bolle e il cantautore Baglioni, la Herzigova nel ruolo di Venere dalla conchiglia uscita e Albertazzi che fa lettura dantesca, Sophia Loren, Chechi che ritorna signore degli anelli, giochi di luce e abiti di cristallo, la bandiera italiana rivestita dal succitato Armani, i volontari comparse e figuranti, Carlo Azeglio Ciampi capo d’Italia che tiene il discorso insieme con Rogge, capo del Cio; Rocca e il giuramento, il Va Pensiero di Verdi e il Va/Go di Baglioni, il Vincerò di Puccini e poi l’arrivo dell’ultimo tedoforo che sta spaccando, come cani e gatti, Toroc e Coni, opposti sulla questione che dovrebbe unire e produrre il silenzio dignitoso.
Lo spirito olimpico, nella fattispecie, è andato a farsi benedire, le facce sono come le medaglie del terzo posto, mentre Torino ieri era davvero una città piena di popolo che applaudiva il passaggio della fiaccola, che faceva festa, come se si trattasse di una vittoria. In fondo dovrebbe essere la vittoria di una città e di un Paese che invece si fa ogni giorno del male con le cose più piccole e volgari, spacciandole per priorità epocali. Il braciere dello stadio Olimpico verrà acceso per spegnere altri fuochi fatui. Stasera però qualche fumo e qualche fischio saliranno verso il cielo nero; la bandiera danese, quella americana sono oggetti facili e comodi per l’uso e il vilipendio; la delegazione della Cina passerà indenne, posso prevederlo, non fa parte della recita a soggetto dei cosiddetti contestatori. Tra le musiche che verranno suonate e danzate, alcune saranno eseguite «sui ritmi ipnotici della sonorità tecno». La frase è di quelle che provocano un certo sgomento, soltanto se penso alla signora Franca e al suo consorte Carlo, ma anche a una grande fetta degli astanti. Ma è un semplice coriandolo nella grande notte di Torino.
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