Lacrimogeni, sparati direttamente in faccia ai dimostranti, e colpi di pistola. Gendarmi in divisa da gendarmi e sgherri del regime degli ayatollah in borghese. Il pugno di ferro del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad si è nuovamente abbattuto ieri su alcune migliaia di manifestanti che si erano dati appuntamento in piazza Haft-e Tir, a Teheran, per protestare contro il governo.
Lo stesso Mehdi Karroubi, il leader dell'opposizione riformista, ha rimediato un'escoriazione sul viso dopo essere stato colpito da un candelotto lacrimogeno sparato ad "alzo zero" da un agente antisommossa. A raccontarlo ai microfoni di Radio Fardà è stato Mohammed Taghi Karroubi, figlio dell'uomo politico che è da tempo schierato contro il regime liberticida diretto dalla "Guida suprema" Khamenei. Secondo il giovane Mohammed, negli scontri di piazza una delle guardie del corpo del padre è rimasta ferita, mentre altre due hanno riportato escoriazioni e contusioni. Decine gli arresti, mentre le strade del centro sono rimaste presidiate fino a sera da agenti della polizia e membri della milizia Basiji che, montati su veloci motociclette, come cavalieri medievali, avevano disperso ore prima la massa di manifestanti facendo roteare i loro bastoni.
Non era una giornata qualsiasi quella di ieri a Teheran. Esattamente trent'anni fa, alcune decine di studenti islamici fecero irruzione nei locali dell'ambasciata americana, prendendo in ostaggio - e tenendoli poi per 444 giorni - 52 cittadini Usa. Ogni anno, la "storica" giornata viene ricordata dal regime degli ayatollah con una pubblica gazzarra che segue ormai un cerimoniale codificato dalla liturgia: una serie di barbosissimi comizi infarciti di slogan triti e ritriti contro gli «imperialisti yankee», il fantoccio del presidente di turno e qualche bandiera a stelle e strisce bruciati, e il minaccioso delirio da stadio di alcune migliaia di fans del regime convocati dai "Guardiani della rivoluzione". Ieri il fenomeno si è ripetuto con esasperante puntualità, sicché la novità è stata rappresentata dai contromanifestanti di Karroubi e dell'ex candidato riformista Hossein Mussavi (la cui abitazione era stata circondata da forze di polizia per impedirgli di unirsi ai dimostranti) uniti dallo slogan «Morte ai dittatori», e «Morte alla Russia», accusata di reggere la coda al regime del Grande Turbante.
Di qui la gragnuola di manganellate, i colpi di pistola intimidatori (si parla di feriti da colpi d'arma da fuoco, ma mancano conferme di fonte indipendente) e i candelotti lacrimogeni sparati dritti in faccia ai "sovversivi".
Il trentesimo anniversario del colpo di mano all'ambasciata Usa è stato ricordato ieri anche dal presidente americano Obama, che ha colto l'occasione per ricordare ai leader iraniani che forse è venuto il momento di voltare pagina. L'Iran, dice il capo della Casa Bianca, deve «scegliere» tra una stanca ripetizione di riti che hanno fatto il loro tempo o l'apertura del Paese verso una maggiore «prosperità e giustizia» per il suo popolo. «Da 30 anni ascoltiamo quello contro cui è il governo iraniano. La questione ormai è: per quale tipo di avvenire è, il governo iraniano?» ha detto Obama.
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