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"Torno regista per raccontare un'ingiustizia bancaria"

In "Cento domeniche" la difficile storia di un operaio in pensione: "Ma non è un film contro il sistema"

"Torno regista per raccontare un'ingiustizia bancaria"

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Zitto zitto, Antonio Albanese è diventato un vero e proprio autore. Certo non è un esordiente, alle spalle ha ben quattro film, lui che da attore, quasi tra i primi perché invece oggi va di moda, è passato dietro la macchina da presa. Però questi cinque film da regista (più una serie tv, I topi) delineano bene una personalità autoriale, semplice, limpida e cristallina. E chissà, sarà forse un caso, ma Cento domeniche finisce come inizia il suo primo film da regista, L'uomo d'acqua dolce del 1997, con una pistola. In mezzo, con calma e riflessione temporale, ci sono stati La fame e la sete, Il nostro matrimonio è in crisi e, l'ultimo, Contromano in cui toccava il tema dei migranti interpretando un milanese cinquantenne con un negozio di calze che vede gli extracomunitari, che vendono i suoi stessi prodotti abusivamente, come una minaccia.

Ora è tornato nel suo paese di Olginate, dove è nato il 10 ottobre di 59 anni fa, per girare Cento domeniche, scritto dal regista con Piero Guerrera e prodotto da Carlo Degli Esposti, Nicola Serra e Dario Fantoni. Nel film, dal 23 novembre nelle sale, interpreta un operaio in pensione di un cantiere nautico, divorziato ma con buoni rapporti con la moglie (Sandra Ceccarelli), che si prende cura della madre anziana (una strepitosa Giulia Lazzarini) e vuole organizzare, con i risparmi d'una vita, il matrimonio della sua unica figlia (Liliana Bottone). La banca, di cui è da sempre cliente, sembra però navigare in cattive acque...

Il suo personaggio di Antonio Riva poteva essere lei stesso?

«L'ho pensato, per l'età che ho da prepensionato ma anche perché anche io facilmente mi sarei potuto trovare in quelle situazioni, non perché sono ingenuo ma perché mi fido degli altri. Io arrivo proprio da quel mondo, il metalmeccanico l'ho fatto, con orgoglio, per sei anni. Poi, grazie a un'amicizia, ho scoperto il mondo del teatro e ho lasciato il certo per l'incerto. A Milano ho la fortuna di entrare all'Accademia e, per mantenermi, mi sono avvicinato alla comicità che è una delle forma d'arte più elevate in assoluto».

Ora però il suo cinema, così vicino ai meno potenti, fa pensare a quello di Ken Loach o di Stéphane Brizé in Francia.

«La verità è che io sono un grande divoratore di film, questa settimana ne ho visti tre. Ma, in questo caso, onestamente, io arrivo da quella provincia e da quel mondo industriale. Oggi tutto è cambiato e sono diventati dei paesi-alberghi. È un mondo che ho rappresentato a modo mio, come nel '97 quando ho fatto Giù al Nord parlando di lavoro in teatro, qui non c'è la Thatcher, non ci sono le linee di carbone, non c'è la disoccupazione. È un tema ben preciso, quello delle ingiustizie bancarie, che ha toccato soprattutto l'Italia. Poi certo raccontiamo anche il mondo operaio che sembra dimenticato da qualche decennio eppure è quello che ci sostiene da sempre, i metalmeccanici in Italia sono circa 5 milioni e mezzo».

Il suo personaggio è un mite, un buono.

«Esatto. Il mio protagonista non ha neanche il coraggio di reagire, è profondamente onesto e si prende addirittura la colpa di essere stato tradito. Nelle nostre ricerche ci siamo trovati con aneddoti pazzeschi, di persone distrutte, talmente cariche di vergogna per essersi fidati della propria banca che sono uscite di casa dopo mesi. Questa malvagità non si deve più ripetere. È un crimine in purezza».

Giulia Lazzarini, una colonna del teatro italiano, interpreta nel film sua mamma.

«E somiglia pure alla mia, è dolce come la mia. È una donna incredibile, le dico solo questo: ha 90 anni, quest'estate si è rotta il femore e io, una settimana fa, l'ho vista recitare all'Elfo. Mi sono commosso».

Come vi siete documentati?

«Leggendo, studiando e chiedendo aiuto alla mia comunità dove sono nato e cercando poi di restituire nel film quel suono della mia provincia. Abbiamo che parlato con gli psicologi che avevano avuto in cura queste persone che avevano perso tutto. Ci hanno detto che arrivavano a perdere il sonno ed è un'altra cosa che entrava nel dramma in maniera impetuosa. Ci siamo detti: ci carichiamo di umanità, è un tema delicato e abbiamo iniziato a trattare questo argomento con serietà, onestà e verità, fino in fondo».

Le banche dunque sono i cattivi di Cento domeniche.

«Non direi, questo film rispetta il sistema banche, perché noi siamo qui anche grazie a loro. Noi in realtà raccontiamo ciò che può provocare un singolo personaggio, ed è incredibile».

Quali sono i film che ha visto da poco?

«Kafka a Teheran e l'ultimo Scorsese, è pazzesco.

Mi piace il buon cinema».

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