Francesco Damato
Voglio riconoscere a Romano Prodi un merito, dopo tante occasioni di demerito che si è guadagnato, almeno ai miei occhi, nella sua ormai lunga carriera politica. Che cominciò ben 28 anni fa con lormai famosa seduta spiritica sul sequestro di Aldo Moro, rivelatasi inutile sia a salvare la vita del povero ostaggio delle Brigate rosse sia ad impedire che dopo qualche mese soltanto il medianico professore emiliano entrasse come ministro dellIndustria in uno dei governi di Giulio Andreotti: quello appoggiato esternamente con la fiducia dal partito comunista di Enrico Berlinguer. Pur impegnato durante la campagna elettorale a preparare ripristini o aumenti di vecchie imposte in quella «Babele di voci e di cifre» contestatagli persino da un giornale spesosi tanto per lui come il Corriere della Sera, Prodi promise alla vigilia del voto del 9 aprile che ci avrebbe procurato «un po più di felicità».
Capitò una volta anche ad una mia collega della Rai di augurare «felice notte» al pubblico dopo avere condotto unedizione del telegiornale particolarmente sfortunata, che si era aperta con la notizia di un disastro aereo e chiusa con quella di un infanticidio. E lo fece - ahimè - con un sorriso analogo a quelli che anche Prodi si sforza ogni tanto di offrire alle telecamere dopo avere risposto bofonchiando alle domande degli incolpevoli giornalisti incaricati di seguirlo e di raccoglierne i sospiri. Debbo ammettere che, fedele alla sua promessa, un po di felicità, intesa come divertimento, Prodi me lha procurata la notte di martedì scorso, quando ha goffamente celebrato la sua vittoria elettorale. Eppure alla Camera il premio di maggioranza vagava tra venticinquemila voti soltanto di vantaggio per lUnione, quarantamila schede contestate e non ancora aggiudicate e seicentomila annullate, spesso tra proteste e riserve di una parte degli scrutatori. Il Senato, poi, era ancora sotto lipoteca, diciamo così, del centrodestra con il pur modesto vantaggio di un seggio, destinato solo dopo qualche ora ad essere rovesciato da un altrettanto modesto vantaggio di due seggi dellaltro schieramento, raccolti con il voto degli italiani allestero. Non sapevo quella notte se ridere più per la comica spavalderia di Prodi, che scambiava per una Ferrari la traballante cinquecento uscita dalle urne, o per laspetto stremato di un pubblico infreddolito, che era stato chiamato nel pomeriggio a festeggiare il trionfo del professore annunciato dagli exit poll ed aveva dovuto sorbirsi un lunghissimo testa a testa al cardiopalma tra i due poli.
Non so quanto tempo impiegheranno i suoi alleati a liberarsi anche questa volta di Prodi, ostaggio delle ali più radicali e antagoniste della sua coalizione. Due anni e mezzo, quanti ne passarono tra il suo primo insediamento a Palazzo Chigi, nella primavera del 1996, e la rocambolesca bocciatura parlamentare, nellautunno del 1998, o ancora di meno? Di certo, conoscendo ormai luomo e la sua compagnia, della quale fa peraltro parte questa volta anche il nuovo movimento di Marco Pannella, geniale e rapido nello smontare i giocattoli politici quanto lo è nel montarli, lattesa non sarà lunga.
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