La tragedia di Annik, morta con il suo peluche

La frana in Val Pellice. Trovati i corpi della madre e della figlioletta disperse nel fango. Erano a oltre trenta metri dalla loro casa. Anche il padre ha aiutato i vigili del fuoco a scavare nella melma

La tragedia di Annik,  
morta con il suo peluche

Villar Pellice - Non doveva esserci nessuno, nella casa gialla che non c'è più. Doveva essere vuota giovedì mattina verso le dieci, quando dalla montagna si è abbattuta la morte trascinando un orrendo mantello di fango. Non doveva esserci la piccola Annik Rivoira: era giorno di asilo, ma la varicella l'aveva costretta a restare a letto. Non doveva esserci la mamma Erika Poet, che non poteva lasciare da solo un batuffolo di tre anni. Non doveva esserci neppure il nonno Carlo, 75 anni: non abitava lì in borgata Garin, era malato anche lui, a letto, avvolto in una coperta, ospite del figlio che da settimane gli cercava una badante. Ma una donna che andasse a genio al vecchio apicoltore della Val Pellice non aveva ancora messo piede nell'enclave valdese.

La piccina, la mamma, il nonno: la valanga di melma li ha seppelliti assieme, per un misterioso volere del destino, riuniti nel luogo sbagliato al momento sbagliato, accanto al camino acceso. Quando sono arrivati i primi soccorritori, il fumo usciva ancora dal mozzicone di comignolo che spuntava tra macigni e macerie, ultimo segnale di vita. Il mare di pantano ha restituito per ultima Annik. Erano le sette e mezzo di ieri sera, quasi buio, con i nuvoloni neri che tornavano ad addensarsi sulle montagne dopo una giornata in cui la pioggia ha concesso lunghe ore di tregua.

Era sotto tre metri di terra, stretta al suo elefantino di peluche verde, una trentina di metri a valle rispetto a dove sorgeva la sua casa. Il corpo della mamma era stato ritrovato nel primo pomeriggio poco distante. Per tutto il giorno le scavatrici avevano smosso il terreno, un po' alla volta, quasi accarezzandolo, come se le benne fossero le dita tozze di un gigante buono. Ogni tanto dai detriti spuntava qualcosa: una maglietta, un vestito, una foto, qualche cartolina. Allora la ruspa si fermava, subentravano i picconi e le mani dei vigili del fuoco, del soccorso alpino e della Protezione civile. I piccoli resti di quella che era stata una famiglia venivano consegnati a qualche conoscente in lacrime. Ore e ore a cercare ciò che non si vorrebbe trovare. Luciano Rivoira ieri non ce l'ha fatta a tornare sul luogo della tragedia. Era al lavoro, giovedì mattina. Aveva aiutato anche lui a scavare, nella irriducibile speranza di ritrovare vivi il papà, la moglie e l'ultima dei quattro figli. Poi era corso a prendere a scuola gli altri bambini, Mistral, Magali e Cédric, per rifugiarsi a casa di parenti a Luserna San Giovanni, dove c’è una delle sedi della cooperativa di cui è direttore tecnico: si chiama La Nuova Cooperativa, fa pulizie, manutenzione del verde pubblico, segnaletica stradale, una grossa realtà imprenditoriale del Torinese. Lui è di Luserna, all'imbocco della valle, lei era di Torre Pellice, abitava in fondo al paese, non lontano dalla frazione di Chabriols dove i soccorritori bloccano le auto.

Era stata Erika a suggerire di trasferirsi sopra Villar, in quella casa vecchia ma solida che aveva resistito alla tremenda alluvione del 1977. L'hanno ristrutturata, ci vivevano da sei anni. Volevano vivere nel verde, dove finiscono i boschi e cominciano i prati, al rumore del rio Cassarot, un corso d'acqua così piccolo che non merita nemmeno il nome di torrente. Nei mesi scorsi il comune aveva tracciato alcuni sentieri scavalcando il Cassarot con quattro ponticelli di legno: le sabbie mobili ne hanno risparmiato soltanto uno.

Nel pomeriggio, con il sole, lungo la strada che fino al giorno prima tagliava i campi e ora sembra una trincea, il muto pellegrinaggio del paese. Vicini e amici dei Rivoira e di Marius Vasile Urzica, il falegname romeno travolto alla guida di una Opel nera comprata da pochi mesi, guardano i boschi e le rovine chiedendo risposte che non arrivano. Perché proprio loro? La casa a fianco è salva. Una cascina poco distante è stata protetta da un mastodonte d'acciaio piazzato a monte chissà quanto tempo fa che ha bloccato due massi. Più sotto, un’ambulanza è nel fango, immersa per tre quarti.

Giovedì mattina medico, infermiera e autista tornavano da Bobbio Pellice dopo il disinnesco di un ordigno bellico, scortati da un’auto dei carabinieri: i militari hanno evitato l'ondata, i sanitari no. Gli uomini dell'Arma sono riusciti a estrarre i tre dal mezzo di soccorso e a chiamare aiuto. Strappati alla morte, che trenta metri più sopra aveva già sepolto quattro persone.

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