Quota cento dollari al barile è sempre più vicina per il prezzo del petrolio. Ma la pensione si allontana per il "re" delle risorse energetiche. Tuttora restio ad abbandonare il suo trono o, perlomeno, una posizione di relativa maggioranza in un mercato globale che lo vede insidiato dal gas naturale e dalle fonti rinnovabili.
Nelle ultime settimane il greggio Brent, estratto nel Mare del Nord, benchmark chiave per i mercati europei e occidentali assieme al texano Wti, ha oscillato attorno all'asticella dei 90 dollari al barile, scendendo di poco sotto di esso attorno alla giornata del 10 febbraio per le notizie positive sui possibili accordi nucleari iraniani. La motivazione di questo fatto è dovuta in primo luogo alla tenuta della domanda, trainata soprattutto dai mercati asiatici, e dal caos logistico globale che ha sconvolto il mercaato delle materie prime.
Nel nuovo superciclo delle materie prime legato alla battaglia per la transizione energetica e alla sfida geopolitica del gas naturale, insomma, ci sarà ancora spazio per“Re petrolio”. E torna alla mente il celebre detto secondo cui l'età della pietra non è finita per mancanza di pietre: mentre discute su come abbandonarlo, il mondo ha sempre più sete di petrolio. Lo testimonia la corsa al greggio che anche l'amministrazione "ambientalista" di Joe Biden negli Usa ha sdoganato, aumentando i permessi estrattivi rispetto a Donald Trump. L’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) ha calcolato che la produzione di petrolio è salita del 4,6% tra settembre 2020 e 2021. Già alla fine dell’estate scorsa analisti, nota Gianni Bessi su StartMag, “affermavano che la domanda mondiale ritornerà alla quota precedente alla pandemia, cioè circa 100 milioni e passa di tonnellate”, pronosticando che tale quota potesse addirittura esser superata nel 2022. Schroders, uno dei principali colossi dell’asset management a livello globale, ha di fatto confermato nei suoi studi questa previsione: “Ci aspettiamo che la domanda di petrolio cresca a 100,23 milioni di barili al giorno nel 2022, con un aumento di 3,5 dal 2021 e ampiamente al di sopra dei livelli del 2019 di 98,27”, ha scritto in un report recente.
Nei mesi in cui l’economia globale si stava riprendendo dopo la prima batosta del Covid e la richiesta di petrolio è tornata a crescere, le grandi aziende petrolifere si sono dimostrate timorose a cominciare un nuovo ciclo di investimento per produrre più greggio a causa dell'analisi delle opportuntià offerte dalla svolta green e dalla transizione energetica. Questo però ha portato gli operatori finanziari a ritenere difficile un aumento degli investimenti in attività estrattive, che però il mercato ha ritenuto potesse tradursi in scarsità di forniture e un aumento del prezzo nel breve e medio periodo, avviando il più classico ciclo delle profezie che si autoavverano. La batosta inflativa che ha colpito gas naturale ed elettricità ha fatto il resto, richiamando a un sano realismo, anche considerato il fatto che la la “geografia” della domanda ha visto il “Re” dei mercati energetici essere sempre più dipendente dall'attrazione dei mercati asiatici. La cui dinamicità si è scaricata sull'Occidente portando a una bomba nel prezzo del petrolio che crescendo nelle quotazioni, nel valore borsistico e, di converso, nella dinamicità delle scommesse finanziarie ad essi associate, sarà sempre più condizionato dalle prospettive di medio-lungo periodo dei maggiori consumatori.
E questo impone di fare nuovamente i conti con la risorsa più demonizzata, bistrattata, criticata ma ancora decisiva nell'era della transizione energetica. Come ogni sovrano attempato, capace di difendere la sua posizione anche nei momenti di maggiore minaccia.
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