Gian Marco Chiocci - Massimo Malpica
Roma - Il primo «grazie» è all’avvocato, Giosuè Bruno Naso e al suo pool difensivo che a tarda sera è ancora sulle carte nell’affollatissimo studio di via Cola di Rienzo. A seguire, per parenti e amici, lacrime e sorrisi che irrompono nelle case degli italiani dalle dirette tv fuori dal carcere: «La verità non ha paura, diremo tutto al momento opportuno, la giustizia trionfa sempre. È stato un inferno ma leggerete tutto. Ho preso appunti e ho intenzione di farne un libro». La maestra Silvana Magalotti non contiene l’entusiasmo, e ha ragione. Per lei l’incubo è davvero finito, e attraverso il legale cerca di spiegarlo meglio. Diciassette giorni di galera con l’accusa di pedofilia rappresentano un’infamia per chiunque ottenga soddisfazione dal tribunale del Riesame.
Signora Magalotti, se l’aspettava una decisione così?
«Adesso è facile dire di sì, ma è la verità. Me l’aspettavo perché non sarebbe potuto essere altrimenti, io ancora mi chiedo cosa c’entro in questa storia. Non è un modo di dire ma quel che è successo è un incubo da cui si rischia anche di non uscire mai. Ve lo giuro, non auguro a nessuno di vivere un’esperienza simile alla mia: dalla mattina alla sera trasformata in mostro. Nonostante tutto ho sempre avuto fiducia nella giustizia».
Cosa l’ha ferita di più?
«Un po’ tutto, certe accuse che non stanno né in cielo né in terra. Vorresti gridare la tua innocenza e invece, dal profondo di una cella del carcere, devi solo aspettare. Non so come spiegarlo ma certe accuse non solo mi indignano come persona umana ma soprattutto come maestra d’asilo che ha tirato su generazioni di bambini di Rignano Flaminio senza mai una lamentela dei genitori, che ha visto crescere quei piccoli fino a diventare adulti, che ha dedicato la vita alla scuola, all’insegnamento, più semplicemente ai bambini. E...».
Dica.
«Nell’immediatezza dell’arresto la cosa più sconvolgente era che se alla fine avesse prevalso la tesi dell’accusa io non solo sarei passata per una persona indegna per aver abusato di piccole e innocenti creature, ma lo sarei stata più degli altri miei coindagati in quanto avrei permesso a mio nipote, il figlio di mio figlio, di frequentare quell’asilo pieno di gente raccapricciante, a cominciare da sua nonna».
Adesso che succederà?
«Di sicuro non mi nasconderò in casa. Mi auguro che venga fatta davvero chiarezza su ogni minimo dettaglio dell’inchiesta, dal più grave al meno importante. Non devono restare ombre, tutto deve essere alla luce del sole, tutti hanno diritto a sapere la verità, noi per primi».
La battaglia per la verità si preannuncia ancora lunga.
«Lo so, ma noi siamo qui, decisi ad andare fino in fondo. Certo se proprio dovessi esprimere un desiderio sarebbe quello di dimenticare tutto al più presto. Purtroppo, esperienze così, temo che non si dimentichino tanto in fretta».
Basta così. Silvana Magalotti prende fiato, si dice ovviamente felice per la libertà riconquistata dai compagni di disavventure giudiziarie, e si compiace quando i telegiornali riportano lo sfogo della collega maestra Marisa Pucci fuori dal penitenziario, che poi incontrerà per un brindisi nel bar del marito a Rignano Flaminio: «Hanno distrutto il mio amore per il lavoro - sbotta la signora Pucci -.
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