Tratta di bambini romeni: nove in manette

Omar Sherif H. Rida

Bambini romeni usati come bancomat, segregati, obbligati con sevizie di ogni genere a rubare e a riportare a casa il quotidiano bottino imposto loro da una banda di aguzzini: almeno 200 euro. Un perverso sistema schiavistico che andava da Roma a Milano, quello scoperto al termine di un’indagine iniziata nel febbraio scorso e condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma (coordinata dal procuratore aggiunto Italo Ormanni) e dalla quarta sezione della Squadra mobile capitolina guidata da Alberto Intini e che ha portato all’emissione, da parte del gip Claudio Mattioli, di nove ordinanze di custodia cautelare a carico di altrettanti romeni (otto uomini e una donna). Sei gli arresti eseguiti ieri mattina tra la Capitale e il capoluogo lombardo, mentre per altri tre destinatari, che si troverebbero nel Paese d’origine, sono state già attivate le procedure internazionali. Associazione a delinquere, riduzione in schiavitù, tratta e commercio di schiavi, furto: questi i reati loro contestati.
L’operazione «Balè» («guardia» in romeno, il termine con cui le piccole vittime avvertivano della presenza dei poliziotti) prende il via lo scorso febbraio, in seguito a una serie di segnalazioni giunte già nei mesi precedenti alle forze dell’ordine da parte dei servizi sociali del Comune. Un’inchiesta fatta di pedinamenti, uso di telecamere e di quello, decisivo, delle intercettazioni telefoniche. Alcuni bambini in particolare, dopo essere stati ripetutamente fermati per furti e borseggi, confessano agli operatori quanto accadeva nell’accampamento in cui vivevano.
Circa un centinaio i minori coinvolti (di età compresa tra gli 8 e i 14 anni, quindi non perseguibili), «costorari» come li chiamano in gergo gli aguzzini, tutti provenienti da Craiova, in Romania, acquistati dall’organizzazione criminale per non più di mille euro e quindi condotti in Italia, nel campo nomadi romano di Tor Cervara e in quelli milanesi di Pioltello, Cimitero Maggiore e Cascina Baraggiate.
Una vita d’inferno la loro: obbligati a dormire per terra, legati, lasciati senza cibo né acqua, «addestrati come animali per il recupero crediti», spediti tutti i giorni in gruppo nelle vicinanze delle mete turistiche, nelle stazioni della metro, a compiere furti e rapine soprattutto ai danni di turisti. E alla sera, per chi di loro non riesce a racimolare la quota minima di 200 euro, ci sono frustate, bruciature di sigarette, il divieto di tornare al campo. Periodicamente i minori vengono poi costretti a fare la spola tra Roma e Milano, passando per altre città tra cui Firenze e Bologna. «Nel corso di un trasferimento con un furgone - racconta la dirigente della IV sezione della Squadra mobile, Dania Manti - i capi dell’organizzazione, rimasti senza denaro, si fermarono nei pressi di stazioni ferroviarie costringendo i bambini a rubare soldi a turisti e passeggeri per poter proseguire il viaggio». Nelle indagini sarebbe coinvolto anche un avvocato civilista di Roma, che secondo l’ordinanza del gip Claudio Mattioli, si sarebbe prestato alla falsificazione di documenti, dichiarazioni o a indicare le procedure giudiziarie del caso ai componenti della banda.

Un raffinato meccanismo criminale quello studiato dai malviventi, tanto da fruttare loro centinaia di migliaia di euro: c’era l’autista per le trasferte, chi era addetto, per poche decine di euro, a sostenere di essere genitore del piccolo quando questo veniva fermato dalla polizia, il responsabile dei rapporti con le istituzione, come l’avvocato. Ad attirare l’attenzione degli investigatori è stata la scoperta, dopo una serie di riscontri incrociati effettuati grazie alla banca dati comunale, di più coppie di genitori per lo stesso bambino.

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