La trattativa riparte con lo sciopero L’altra Sinistra è accanto a Cipputi

I sindacati pronti a sfilare sottobraccio all’ala radicale con comunisti e rifondatori

da Roma

Se l’operaio chiama, la Sinistra deve rispondere. Il segretario di Rifondazione, Franco Giordano, almeno ci prova. E non usa mezzi termini nel dichiarare apertamente da che parte stia: con i lavoratori in sciopero. Altro che lotta e governo, solo lotta. «La trattativa sulle pensioni parte finalmente con il piede giusto, con lo sciopero dei lavoratori e delle lavoratrici - proclama Giordano -. Siamo d’accordo con loro e per questa ragione chiediamo l’abolizione dello scalone. Quando Mirafiori scende in lotta, quando il 22 e il 25 sono previsti scioperi nelle fabbriche, secondo me il segnale è inequivoco. Quello che abbiamo promesso in campagna elettorale dobbiamo mantenere. Sono totalmente in sintonia con quei lavoratori, il confronto deve avvenire con quelle richieste e ascoltando quelle esigenze... Quindi lo scalone va abbattuto e vanno risarcite le classi che oggi se lo attendono».
Sindacati sul piede di guerra, Rifondazione e Pdci pronti a sostenere in piazza eventuali azioni di protesta e a negare il voto in Parlamento. Uno schema classico, con la capogruppo comunista al Senato, Manuela Palermi, tetragona nel definire «scaloni e scalini un’inaccettabile vigliaccata nei confronti di 800mila pensionati ormai in estinzione e tra i più disgraziati». La polemica sulla riforma Maroni si alimenta di nuovi capitoli, quali il costo dell’abolizione dello «scalone», contestato con veemenza dalla Sinistra alternativa. Il capogruppo prc al Senato, Giovanni Russo Spena, parla apertamente di «cifre a casaccio fatte filtrare» dal Tesoro, «estremamente esagerate, lontanissime dalla realtà: una sorta di terrorismo psicologico che mira a esercitare una pressione indebita sulla trattativa in corso con i sindacati». Si tratta perciò di un’«inquietante campagna di disinformazione» dietro la quale si cela un «disegno politico», perché l’obbiettivo dell’abolizione è «realistico» e disattenderlo sarebbe «disastroso». Il ministro Paolo Ferrero, anche lui rifondatore, contesta la cifra di 10 miliardi in dieci anni: «Quei calcoli sono fatti come se tutti andassero in pensione il giorno dopo aver maturato il diritto... », spiega.
«Questo accade - aggiunge Ferrero - soltanto se la gente sta in una condizione di insicurezza e paura per cui teme che gli si modifichino le regole ogni cinque minuti com’è successo negli ultimi anni. Se gli si dà un quadro di certezze e si mettono incentivi sull’allungamento la spesa sarà minore perché c’è più gente che rimarrà al lavoro». Si può avere una «modalità più tranquilla», insiste il ministro, che polemizza anche con la sua collega Bonino e si definisce un «liberale di estrema sinistra» che vuole difendere «la libertà di tutte le categorie che vogliono andare pensione». Ancora più nel dettaglio scende il capogruppo di Prc alla Camera, Gennaro Migliore, che rileva come la misura costi «relativamente poco per il primo anno, diciamo 300 milioni di euro». Poi via via «possono essere fatti dei risparmi» con l’accorpamento degli enti previdenziali, per esempio, senza contare che i costi per l’abolizione dello scalone prevista dal programma di governo possano essere ulteriormente contenuti grazie ai fondi del tesoretto.

Migliore ricorda che anche i conti dell’Inps stanno andando bene, «un sovrappiù di circa tre miliardi di euro», e sarebbe importante che le risorse fossero trovate «dentro il sistema previdenziale, non sulla pelle dei lavoratori».

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