Per Travaglio la gallina delle Procure fa le uova d’oro

Volevo far notare che il signor Marco Travaglio, intervistato dal collega Telese su La7, ha risposto a una domanda sul suo reddito citando testualmente soltanto i «3.000 euro al mese del Fatto Quotidiano» («pochissimo», risponde accorato il Telese) e in più, ma solo talvolta, i diritti d’autore dei libri, senza far parola del (immagino) pingue compenso Rai per Annozero. Mi sembra un «fatto quotidiano» piuttosto interessante, soprattutto per un giustizialista come lui.
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Ma no, caro Giacomini: non è un fatto interessante. Quello di Travaglio è caso mai un peccatuccio di renitenza, forse addirittura un vezzo per alimentare il culto della personalità, la sua immagine d’ascetico e disinteressato cavaliere della Giustizia e della Verità. Quanto si metta in saccoccia Travaglio, a quanto ammontino le sue molteplici paghe per il lesso è argomento buono per l’Agenzia delle entrate, non per ramanzine moralistiche anche se chissà quante ne meriterebbe, Marco Travaglio. L’ultima gliel’ha fatta nientemeno che Michele Santoro, pacatamente spiegando al suo pupillo (che non voleva più tra i piedi il nostro Nicola Porro e Maurizio Belpietro, «giornalisti che sono trombettieri - trascrivo con non poco imbarazzo ciò che scrisse Travaglio - recitano un copione, frequentano corsi specialistici in cui s’impara a fare le faccine e a ripetere ossessivamente le stesse diffamazioni... sguazzano nella merda e godono a trascinarvi le persone pulite per dimostrare che tutto è merda») cosa si intende per democrazia, per libertà e per verità. Quel «trombettieri», poi! Detto da lui, il trombettiere in capo, il trombone principal della banda d’Affori delle Procure, fa un po’ ridere. In cambio, però, la gallina delle Procure fa le uova d’oro, rende, consente di guadagnare un sacco di conquibus. Molti, molti di più dell’antiberlusconismo, ormai un tantinello inflazionato, ripetitivo e scontato. Vuol mettere, caro Giacomini, l’assortimento, la ricchezza gossipara dei verbali e degli atti delle Procure? Le chicche presenti nelle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche, dove anche un «humm... », un «hemm... », o un «mah!» sollevano il legittimo sospetto di mariuolaggine e ogni escort ne costituisce la prova provata?
Il gran merito di Marco Travaglio è quello d’essersi inventato un genere giornalistico del quale, poi, ha mantenuto a lungo la privativa. Quando vide minacciato il monopolio dai fuochi a mare giudiziari della Repubblica e in particolare di Giuseppe D’Avanzo ebbe un altro colpo di genio: prese a privilegiare, a scapito del «reato», il «fatto». Adibendolo poi a quell’arma di distruzione di massa chiamata character assassination, ovvero killeraggio mediatico. Però, siccome il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, proprio un «fatto» sta minando la credibilità e appannando l’integrità morale sulla quale Travaglio ha edificato la sua fama e la sua fortuna: l’intimità col sottufficiale della Dia Giuseppe Ciuro, in seguito condannato a anni quattro e mesi sei per favoreggiamento di Michele Aiello, a sua volta condannato a 14 anni di galera per mafia. Un «fatto» che Travaglio liquida come innocente quisquilia e che non desidera, anzi, pretenderebbe non venisse ricordato né sulla stampa né in televisione.

E chi s’azzarda a farlo è un «trombettiere» che sguazza in quella cosa là «trascinandovi le persone pulite» come lui (non per alimentare polemiche, mica siamo a Annozero, qui, ma è proprio in situazioni del genere che a Roma s’usa dire: il più pulito ci ha la rogna).

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