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Travaglio, Santoro & C. I rimandati all’Annozero

La bomba atomica ha fatto cilecca. Dovrei scrivere: è andata bene, si è ristabilita la verità. Dovrei scrivere questo, e lo scrivo, perché è vero. Ma è anche orribile doverlo scrivere, essere stati lì a trepidare per le parole di un ergastolano, al quale è stato assegnato il potere di schiacciare o non schiacciare il bottone della famosa bomba atomica di cui parlava nel fuori onda Gianfranco Fini. Impossibile essere felici per lo scampato pericolo. Il pericolo durerà fin quando lasceremo la possibilità ad assassini di disporre della valigetta con i codici per azionare le armi letali, così da uccidere chi gli pare e piace, secondo l'umore e la convenienza, assecondando o no i desideri di questo procuratore o di quell’altro, che si aspetta proprio tanto da te, e poi ti premierà, se dirai un certo nome, quel nome lì che comincia per B. Ma che Paese siamo diventati?
Siamo in un’Italia più assurda del teatro più assurdo di Ionesco. Ma la scena è anche tragica, perché la reputazione e il destino delle persone sono squarciati a ripetizione, appesi a dei ganci ed esposti in pubblico, e con esso il nostro povero Paese. Senza prove salvo le dicerie degli untori che si rifanno la vita seminando la peste delle loro minchiate. Per questo prima di ogni osservazione politica o giudiziaria, fermiamoci un attimo sul torturato principale di questa mafia che si finge antimafia per uccidere con più comodo e con la benedizione dei Torquemada delle Procure e delle loro succursali in Rai e a Repubblica-Espresso. Occorre dare onore a Marcello Dell’Utri, alla sua lotta purtroppo spesso solitaria contro le infamie che una congrega di criminali di Cosa nostra gli scarica addosso da 15 anni.
Intanto constatiamo il fiasco di coloro che puntavano tutto sull'uno-due da kappaò. Prima Spatuzza poi Graviano. Su Spatuzza hanno scommesso molto. La fretta però è stata traditrice, e si sono trovati una deposizione malferma, e soprattutto messa in piazza senza neanche avere avuto il tempo di incollarla almeno con lo sputo a qualche riscontro di fatti o di testimoni. Per giorni sono circolate indiscrezioni provenienti da Palermo, Firenze, Milano sulla forza incontrovertibile delle accuse di questo rapitore, strangolatore e scioglitore di bambini nell’acido e che ora vive un «cammino bellissimo». Espresso-Repubblica-Annozero-Unità-Il Fatto, un coro. Ancora giovedì notte su Rai 2 è continuato lo scempio. Si ha un bel dire che quel che conta è il risultato finale, che alla fine Annozero danneggia proprio la sinistra. Ma intanto chi è finito sotto i suoi cingoli come fa a essere contento?
La cronaca di ieri (Graviano) è se non altro meno velenosa di quella di venerdì scorso (Spatuzza). La testimonianza in videoconferenza del mafioso ergastolano Graviano ha contraddetto quella dell'altro ergastolano Spatuzza. Mai Graviano incontrò Dell'Utri, mai gli fu assicurata protezione da Berlusconi né lo disse a Spatuzza. No e poi no. Conseguenza logica: Berlusconi e Dell'Utri non sono i committenti delle stragi di Falcone, Borsellino, della Galleria degli Uffizi a Firenze e di via Palestro a Milano.
Tranquilli. Dopo la mazzata sui calli Travaglio, Di Pietro & C. si inventeranno qualcosa per dimostrare che persino le negazioni di Graviano confermano la colpevolezza di «quello di Canale 5» e del «compaesano». Facile. Basta dire che a Graviano è convenuto così, avrà ricevuto messaggi rassicuranti. Scommettiamo? Del resto hanno giocato d’anticipo, qualche settimana fa hanno messo le mani avanti, si sono cercati un alibi per il presumibile fiasco.
Ne so qualcosa in prima persona, e si scusi l'intromissione personale. Il fatto di essere andato il giorno di Ferragosto a visitare il carcere di Opera dove stanno Totò Riina e i fratelli Graviano, oltre ad altri 79 capi mafia in regime di 41 bis (carcere durissimo), ha indotto l’Espresso e poi Il Fatto a scrivere con linguaggio insinuante che sarei andato lì per qualcosa di losco, su cui indagherebbero gli inquirenti. Testuale. La mia visita ad Opera: «Per gli investigatori, invece, potrebbe essere una sorta di messaggio». Che sia anch’io coinvolto nella strage di Capaci? Dovrei avere un alibi, controllerò. All'Espresso ho subito mandato smentita. Non un rigo da parte di questi campioni della moralità professionale.
La cosa più triste di tutti è essere costretti a constatare il sollievo di quanti si sentono meglio, e hanno anche ragione: il giochino del pentito con le Procure alleate in circuito politico con Annozero, Santoro, Travaglio e Di Pietro si è rotto, è svanito come una bolla di sapone. Ma è proprio questo l’assurdo. Una giustizia che fa dipendere le sorti di gente fino a prova contraria innocente e perbene e quello dell'Italia dalle dicerie dei mafiosi. Poi dicono che non è vero che la mafia è potentissima. Può davvero tutto perché gli abbiamo consegnato questo potere.
Ora che cosa dovremmo fare? Elogiare un assassino mafioso perché non ha mentito? Se osassimo dire una frase anche solo simile a questa, subito saremmo individuati come coloro che presto o tardi, per conto di Berlusconi o di chicchessia, ricambieranno il favore.
Quella è gente che non si rassegna ai flop. Messa fuori uso un’atomica, se ne impiastriccia un’altra, i volontari non mancano mai tra i pentiti. Ma di certo neppure noi ci rassegniamo.

Con una piccola differenza: che noi stiamo dalla parte della verità, e il conglomerato di pentiti fasulli e attivisti antiberlusconiani ha torto, e ha pure il popolo contro. Prima o poi la bomba atomica gli scoppierà tra i piedi.

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