Politica

Tre candidati per una poltrona Ma dentro ai programmi niente

IDENTITÀ L’ex ministro lo chiama «il non Pd», Dario ammette: «Se voti di qua non sai cosa voti»

Tre candidati per una poltrona Ma dentro ai programmi niente

Analisi comparata di tre (aspiranti) leader. Dici: finalmente è tutto nero su bianco. L’Unità le ha distribuite in allegato e in rigoroso ordine alfabetico, quelle dieci paginette a testa scritte da Bersani Pier Luigi, Franceschini Dario e Marino Ignazio, che una volta per tutte chiariscono cos’è e dove andrà il Pd. L’inizio è poco rassicurante, in verità, perché per tutti l’amara ammissione è: il Pd non esiste. Bersani addirittura lo chiama «il non Pd»; Franceschini, che pure lo guida da un anno, segnala che «se voti destra sai cosa voti, se voti di qua non sai cosa voti»; Marino ne parla come se fossimo nel 2007 e sogna «un partito che sia partito e democratico». Epperò dai, viva la sincerità anche quando non è autocritica, ché qui tutte le colpe si sa di chi sono, nessuno lo cita mai ma come non individuare Walter Veltroni nelle parole di Bersani, per dire: «È successo che invece di fondare un partito mai visto nella storia italiana, si è preferita spesso la suggestione mediatica». Che si fa? Parola d’ordine: «Ricostruire un’identità». Da dove si comincia? Ma dal congresso, naturalmente, quello di ottobre sarà «un congresso fondativo» avverte Bersani.
Pronti, partenza, via. Chi siamo? Bersani: «Un partito popolare, riformista, dell’uguaglianza, delle donne e degli uomini, laico nel rispetto delle fedi, un partito dei lavori e dei ceti produttivi, dei diritti civili, ambientalista, dei territori, dei giovani, della conoscenza, dei cittadini». Alzi la mano un partito che potrebbe dirsi diverso da tutte queste cose, ma vabbè, sul contenitore la vaghezza è normale, infatti anche Marino vuole «un partito che riparta dalle persone con una direzione politica chiara» e «libero dalle correnti», e Franceschini elenca cinque parole chiave come «fiducia, regole, uguaglianza, merito, qualità», che è un po’ come ascoltare il Rino Gaetano di «Nuntereggae più»: «Noi siamo un partito serio, disponibile al confronto nella misura in cui alternativo, alieno a ogni compromesso», e insomma «ahi lo stress». No, qui è ai contenuti che bisogna guardare. Le alleanze, ecco, quelle sì sono un nodo da sciogliere, soprattutto dopo la dotta rissa sulla «vocazione maggioritaria».
Pronti, partenza, via. Con chi si corre? «Da soli si può fare poco» avverte Bersani. Giusto. «Vogliamo essere chiari su questo punto». Sì, dai. «C’è un vasto campo di forze di sinistra, riformiste, laiche e ambientaliste che ha cominciato a unificarsi e alle quali è giusto guardare con attenzione». È l’identikit della Sinistra, solo che Pier Luigi va oltre: ci sono anche «tutte quelle forze di opposizione che incarnano valori importanti». Ah. Udc? Idv? Boh: «Sarà necessario sperimentare». Punto e a capo, ma vedrai che Dario è più chiaro, non fosse altro che lo dice: dobbiamo dire «parole chiare che caratterizzino il partito e che indichino la via lungo la quale costruire il programma di governo». Oh. Con chi? «Formeremo una alleanza che dia la garanzia di un programma credibile non solo per vincere ma anche per poi riuscire a governare». Bene. Con chi? «Non torneremo indietro, ad un centrosinistra col trattino». Eh. «Per preparare una nuova alleanza serve pazienza e lavoro». Giusto, il congresso darà un’indicazione e poi bisognerà lavorare sodo. Ma anche no: «Caratterizzarsi e scontrarsi nel dibattito congressuale soltanto sulla scelta dei possibili alleati di domani sarebbe prova di una sconcertante povertà di idee». Ah, meglio spaccarsi dopo che subito. Marino però è uno pragmatico, lui dirà una parola chiara. Eccola: Bisogna «realizzare quelle alleanze necessarie e coese per vincere e governare». Quali? Boh. Però, sul testamento biologico è certo che, dopo lo scontro su Eluana, i tre candidati alla leadership Pd saranno netti.
Pronti, partenza, via. Marino sa il fatto suo: scanniamoci pure ma che poi si possa «continuare a scegliere e determinare i trattamenti sanitari a cui essere sottoposti». Bersani fa il democristiano: «Il principio di laicità è la nostra bussola», ma «nel rispetto delle convinzioni religiose». Quindi? Niente: rilanciamo le proposte di legge dei democratici. Di quali democratici, se Binetti o Marino, non lo dice. Franceschini idem come sopra: testamento biologico? Dai ragazzi, parlarne al congresso sarebbe suicida, «non dobbiamo cadere nella tentazione di far diventare questo tema il terreno dello scontro e delle divisioni congressuali», meglio farlo in Aula. Ma allora di che si parlerà al congresso? Ah, giusto, di primarie. Bersani le vuole solo degli iscritti, Franceschini degli elettori, Marino introduce le «doparie». Si vedrà.
Pronti, partenza, via. Ma si arriva subito. Esattamente dove siamo.

O forse a poco prima, a quell’Unione del fu Romano Prodi che, imbrigliata in tante posizioni contrastanti quante erano le voci che la componevano, fallì la missione di governo.

Commenti