Tre secoli di piacere

«Le cose che ho pensato prima di incontrarti non sono nulla: è questa separazione l’inizio dell’amore». I versi corredano la scena: si vede una donna che origlia, dietro un paravento, i sussurri di una coppia abbracciata. A chi attribuire quelle parole? Potrebbero appartenere a tutti e tre i personaggi. Alla single forse abbandonata, all’uomo, all’altra donna... Parole e immagini sono soltanto apparentemente immobili lì dove sono (dal 1685) e il loro significato anche. C’è qualcosa che sfugge, che vola nell’aria. Anzi, che fluttua, perché l’opera di Sugimura Jihei appartiene all’ukiyo-e, al «mondo fluttuante», quell’afflato composto da innumerevoli particelle creative che avvolse il Giappone per almeno tre secoli, dal XVIII al XX.
E che cosa è più fluttuante dell’amore, carnale o platonico? Le chiamavano shunga, cioè «immagini della primavera». Sono le pitture e le grafiche in cui l’erotismo in punta di pennello accompagna il rinascimento nipponico. Perché in primavera gli amori sbocciano come i fiori di pesco, in primavera il richiamo sessuale si fa più urgente, in primavera, appunto, tutto ricomincia. Raffinate e sfacciate, le troviamo nel volume Il canto del guanciale e altre storie (Phaidon, pagg. 464 - con 375 illustrazioni -, euro 45). Non che prima mancassero, nella letteratura e nelle arti figurative del Sol Levante, le rappresentazioni... spinte fino al climax dell’amplesso. Ma erano, come spiega Gian Carlo Calza nell’introduzione, narrazioni nate a margine di scandali di corte o comunque di cronache pruriginose. E poi nel XIV, XV e XVI secolo al centro della società c’era la spada, non l’alcova, e la morale neoconfuciana dominante prevedeva rigidi codici di comportamento, dentro e fuori dai sacri palazzi.
Ma poi la borghesia, come avveniva dall’altra parte del mondo, iniziò a popolare della propria voglia di vivere e godere le città che guadagnarono spazio e importanza, a discapito dell’ambiente rurale. Edo (la vecchia Tokyo) divenne l’epicentro del Paese, unificato ora in termini culturali, non soltanto economici e di potere. Nelle «case verdi», cioè nelle case di piacere sorte sull’esempio della tradizione cinese di Nanchino, il sesso sveste il mantello delle convenzioni formali e dà libero sfogo ai propri impulsi. E anche fra le pareti domestiche, dame e servette, signori e giovinetti... ambivalenti, artisti in cerca di relax e di ispirazione e superbe matrone si offrono all’occhio indiscreto dei maestri.
I quali maestri spesso scelgono la forma del calendario. Il parallelo con le veline e le soubrette che si propongono oggi al voyeurismo occidentale è troppo piccante per lasciarlo cadere nel vuoto. Ma regge fino a un certo punto. Intanto perché le signorine che ben conosciamo sono «esposte» in beata solitudine, non nell’atto di «consumare». E poi perché loro problemi con la censura non ne hanno. Li avevano, invece, i virtuosi giapponesi della copula su carta. E li superavano con un compromesso non scritto: l’immagine del primo mese, quella di copertina, era sempre di una castità monacale (anche se i monaci, da parte loro, ci davano dentro alla grande...), e lì si fermava l’esame degli occhiuti giudici. Meno male. Rinunciare a un Hokusai o a un Utamaro per colpa di qualche burocrate bacchettone sarebbe stato, questo sì, un peccato.



In occasione della pubblicazione di Il canto del guanciale e altre storie, oggi a Milano (Galleria Carla Sozzani, corso Como 10, ore 18,30) Marco Belpoliti e Gian Carlo Calza interverranno sul tema «Arte ed erotismo nel mondo fluttuante».

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