Salvo Mazzolini
da Berlino
È durato trentasei giorni il martirio di Stephanie. Trentasei giorni prigioniera di un maniaco sessuale che l'ha sottoposta a sevizie e violenze di ogni genere con il chiaro intento di eliminarla lentamente. Solo per un soffio e una pura coincidenza non c'è riuscito. Quando ieri mattina la polizia ha fatto irruzione nell'appartamento dove era rinchiusa, Stephanie, una ragazza tredicenne di Dresda, era legata a un letto, priva dei sensi, con i cerotti alla bocca e i segni delle torture sul corpo. Adesso è ricoverata in ospedale dove i medici dicono che il suo ritorno alla normalità sarà lungo e difficile.
Una storia che ha scioccato l'opinione pubblica tedesca. Per la brutalità delle sofferenze inflitte alla ragazzina ma anche per il comportamento di giudici e polizia accusati dalla stampa di negligenze e ritardi che hanno contribuito alla tragica esperienza. Stephanie è una ragazzina carina, con gli occhi grandi e celesti, i capelli castani che le scendono sulle spalle e un faccino tondo e divertente per le molte lentiggini sulle guance. A vederla in fotografia sembra più bambina della sua età. E non è improbabile che l'aspetto ancora infantile abbia stimolato gli istinti criminali del suo carnefice. Abita in un quartiere periferico, mamma insegnante, papà proprietario di una pensione. Ogni mattina va a piedi a scuola. L'11 gennaio sparisce. Si sa che la mattina è uscita di casa all'ora di sempre ma che non è arrivata a scuola. Scattano le ricerche. Si fanno tutte le ipotesi, dalla fuga da casa, al suicidio, al rapimento da parte di un maniaco. La sua foto è su tutti giornali e viene ripetutamente diramata dalle televisioni. Viene anche annunciata una forte ricompensa in denaro a chi fornisca notizie sulla sorte di Stephanie. Ma per trentasei giorni non arriva nessuna indicazione, buio totale.
Solo ieri mattina un passante nota per caso su un marciapiede, vicino a un bidone dei rifiuti, un pezzo di carta. Lo raccoglie e legge che sopra con una calligrafia infantile c'è scritto: «Aiuto, aiuto, Laubestrasse 2». Lo porta alla polizia che in quell'indirizzo nota subito due particolari inquietanti. La Lubestrasse è a poche centinaia di metri dalla scuola e dalla abitazione di Stephanie. E al numero 2, al piano terreno, abita un personaggio poco raccomandabile: un certo Mario M. (la legge tedesca vieta di diffondere per intero i nomi degli arrestati fino alla condanna). Luomo ha un passato noto alla polizia. Nel 99 fu condannato a tre anni per reati sessuali sui minori e poi liberato prima della scadenza della pena per buona condotta e perché ritenuto non più pericoloso. Allarmati da queste coincidenze, sette poliziotti si recano sul posto. Poiché nessuno apre, sfondano la porta e si trovano davanti alla scena agghiacciante di Stephanie legata al letto con accanto il suo torturatore, Mario M., in slip.
Conclusa, a lieto fine, la drammatica vicenda, si apre ora il caso sul comportamento di magistrati e polizia. Perché i giudici liberarono Mario M.
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