Politica

La tregua regge ma Hezbollah non disarma

Bush: «I miliziani hanno cominciato la guerra contro Israele e sono stati sconfitti»

Gian Micalessin

da Kiryat Shmona

Carri armati e artiglieria hanno i cannoni ancora puntati, ma all’improvviso vince il silenzio. Cala dopo una notte di schianti e boati, dopo un’alba di esplosioni. «Si torna a casa, è finita», grida un soldatino di Tel Aviv saltando giù dal carro. Mettono fuori la testa anche i civili. Emergono dai rifugi, mettono in moto l’auto, corrono a fare la spesa. «Meglio fare rifornimenti, là sotto ci siamo mangiati tutto».
È l’euforia delle prime ore. Si diluisce già nel pomeriggio, quando la Tv mostra le lunghe code di libanesi che tornano ai loro villaggi. Per molti israeliani quei camion, quegli autobus che il blocco militare imposto su tutto il sud pretende inutilmente di fermare, sono il segnale della volatilità degli accordi. «Lì dentro ci può essere di tutto, nuovi missili, nuove armi, nuove truppe fresche per attaccare i nostri soldati che sono ancora nel Libano», sussurra un ufficiale di Tsahal.
I dubbi diventano rabbia in serata, quando Hassan Nasrallah conquista gli schermi televisivi libanesi e definisce immorale qualsiasi tentativo di disarmare i suoi guerriglieri. In quelle parole si nasconde, secondo gli israeliani, il piano per «far fallire questa tregua e gli accordi diplomatici». Un pericolo molto più insidioso delle scaramucce seguite ieri mattina al cessate il fuoco. In quei ritorni di fiamma cadono sei combattenti sciiti avvicinatisi alle postazioni israeliane. Ma il punto è la determinazione di Nasrallah a mantenere lo status quo, delineatosi già negli ultimi giorni, quando il blocco dei ministri filo-siriani all’interno del governo libanese ha impedito al premier Fuad Siniora di ratificare gli impegni connessi al disarmo della milizia sciita. Ora il rischio è chiaro. Il Partito di Dio e i suoi alleati potrebbero bloccare lo schieramento dei militari libanesi, stringere il cerchio intorno alle truppe israeliane, trasformare la tregua in una guerra di logoramento simile a quella giocata prima del ritiro dal Libano. In queste condizioni il contingente internazionale potrebbe non trovare lo spazio per il dispiegamento, e Israele dovrebbe scegliere tra una ripresa della guerra o un conflitto a bassa intensità.
Nasrallah, da politico navigato, si presenta come il paladino del popolo libanese e sostiene l’incapacità dell’esercito libanese e della forza internazionale di proteggere il Paese. Poi, come previsto, dichiara la vittoria su Israele. «Oggi siamo davanti a una vittoria strategica, una vittoria storica, senza esagerazioni», afferma dagli schermi dell’emittente di Hezbollah.
Di diverso avviso il presidente americano Bush. «Anch’io al loro posto dichiarerei di aver vinto la guerra», ha detto, ma la verità è che «Hezbollah ha iniziato il conflitto con Israele e ha subìto una sconfitta».
Il ministro della Difesa israeliano Peretz annuncia intanto l’inizio degli incontri con i responsabili dei Caschi Blu per discutere il ritiro dal sud del Paese. Il primo incontro si concretizza con la visita del generale francese Alain Pellegrini, comandante delle forze dell’Unifil nel sud del Libano, a un posto di frontiera, dove incontra un gruppo di ufficiali israeliani. Il generale sollecita un immediato dispiegamento del nuovo contingente e sottolinea i rischi capaci di minare la fragile tregua.

«La regione - ricorda - non è al sicuro da provocazioni o da azioni capaci di mettere a rischio quanto è stato raggiunto».

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