Laura Cesaretti
da Roma
A mezzanotte a Palazzo Madama ci sono anche Piero Fassino e Francesco Rutelli, assieme agli stati maggiori dei rispettivi partiti. Il colpo che arriva alla fine dello spoglio è durissimo: ancora una volta Franco Marini si ferma sotto al quorum richiesto, per un solo voto. «A questo punto non sappiamo cosa accadrà domani, bisogna ragionare su come si va avanti», dicono a caldo nel gruppo della Quercia, dove non si esclude neppure un passo indietro del candidato impallinato. «Domani si va a maggioranza dei presenti, e Marini passa la primo colpo», taglia corto invece Dario Franceschini dalla Margherita. «Se non è oggi sarà domani», annuisce il diretto interessato, che mangia pane e prosciutto alla buvette mentre si contano i voti. Ma quando lo informano che sulla scheda annullata che gli ha fatto mancare lobiettivo cè solo il suo cognome, senza nome di battesimo, sbotta: «Allora è voluta». È nera Rosy Bindi: «Qui cè qualcosa che non quadra». Nerissimo Pierluigi Castagnetti: «Un risultato imbarazzante, il Paese ci chiede maggiore serietà». Nel transatlantico del Senato, a notte fonda, si scontrano Clemente Mastella e il prodiano Giuliano Procacci, devono intervenire i commessi a dividerli.
Al suo debutto in Parlamento, la maggioranza è già sullorlo della crisi di nervi, in una ridda di sospetti incrociati, messaggi in codice, tavoli di trattativa paralleli e contrapposti. Per tutto il giorno i partiti dellUnione si sono rimpallati le accuse di tradimento: i ds hanno buttato la croce addosso ai «trozkisti di Rifondazione». «Ma quali trozkisti - insorgeva il capogruppo Prc Russo Spena - sono i ds che stanno facendo mancare i voti a Bertinotti alla Camera, parte tutto da loro». Ds nel mirino anche secondo molti esponenti della Margherita. Poi sul banco degli imputati finisce Mastella, lui spiega che il suo problema non è certo Marini ma Prodi: «Continua a ignorarci». «Cè un malessere profondo nella coalizione», constata Cesare Salvi, senatore ds. «E dal punto di vista politico - sottolinea - quello che sta succedendo alla Camera è ancora più indicativo di quel che è successo qui a Palazzo Madama».
«Attenti, quella che sta partendo è unoperazione politica, non un giochino a perdere», avverte Antonio Polito, neo-senatore della Margherita ed ex direttore del Riformista. Quale operazione politica? Qualche indizio in più lo si ricava dal ragionamento di un battitore libero ds come Peppino Caldarola, buon amico di DAlema: «Il bilancio della giornata di oggi, comunque vada a finire il voto che sarà alla fine positivo sia per Marini sia per Bertinotti, è che difficilmente si può pensare di andare alla partita del Quirinale puntando sullautosufficienza della maggioranza. È ragionevole dedurre da quel che è successo in queste ore che lì la trattativa con la Cdl ci deve essere».
È la partita del Quirinale quella che si è aperta ieri, tra le montagne russe del voto al Senato e i segnali destabilizzanti di quello alla Camera. Una partita ancora sottotraccia, che si sta giocando in un braccio di ferro tra Prodi e la Quercia, con molti co-protagonisti. Prodi ha imposto il «suo» candidato alla Camera, si ragiona in casa ds, e ora «non può pensare di imporre un suo nome anche per il Colle», umiliando ulteriormente il suo principale alleato. Il nome cui si pensa è quello di Giuliano Amato, che a gran parte dei ds non va giù: «Non ci sarà alcun veto da parte nostra, ma Prodi ci deve dimostrare che su di lui il centrosinistra sarebbe abbastanza compatto da poter aprire la trattativa fruttuosa con la Cdl».
E la giornata di ieri dimostra quanto poco compatto possa essere il centrosinistra: «Uno come Mastella è disposto a ragionare con DAlema, perché sa di poter fare accordi politici con lui. Mentre da Prodi finora ha incassato solo prepotenze».
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