Tremonti: «Con una buona bussola l’Italia va nella direzione giusta»

L’economia e la finanza pubblica italiana mostrano miglioramenti superiori a quelli previsti, ma anche nuove difficoltà. Queste in gran parte sono dovute a fattori esterni. Nel 2010, dal punto di vista del prodotto nazionale, il Pil è andato meglio del previsto. Si era affermato che esso sarebbe cresciuto solo dello 0,9 per cento, perché questa era la valutazione corrente, fra molti analisti internazionali e la sinistra italiana ci aveva costruito tante critiche al governo. Ma il consuntivo del 2010, secondo l’Istat, dà un aumento dell’1,3: una crescita del 44% maggiore di quella dello 0,9. Il nostro Ministero dell'economia aveva invece previsto un aumento dello 1%, in seguito rettificato a 1,1. Anche esso risulta superato.
Come si nota, ha ragione Tremonti nel dire che il governo ha tenuto una linea di prudente realismo, con i piedi saldamente per terra. Certo, una crescita di 1,3 per quanto superiore alla previsioni è pur sempre un risultato modesto, sia in assoluto, sia in confronto alla performance di altri stati come Germania, Francia e Stati Uniti. Ma l’Italia, avendo un elevato onere di debito pubblico, aveva bisogno di attuare una politica di bilancio molto prudente. Il governo è riuscito a contenere il deficit pubblico al 4,6% del Pil contro una previsione del 5%. Ciò rende più realistico il pareggio del bilancio entro il 2015 che ci chiede la Comunità Europea e che ci occorre per mettere in sicurezza i conti pubblici e puntare sulla crescita. Data la prudenza nel bilancio, la crescita del nostro Pil è dipesa dalla brillante ripresa delle esportazioni, mentre la domanda interna di consumi è rimasta contenuta e gli investimenti sono stati a un livello modesto. Una causa di ciò è la capacità produttiva inutilizzata, che scoraggia gli investimenti nuovi. Ma l’investimento sarebbe stato maggiore e il Pil sarebbe cresciuto di più, se le burocrazie urbanistiche ed edilizie non avessero soffocato il piano casa ideato da Berlusconi, con l’aumento dei vani costruibili nei fabbricati esistenti. Le macchinose procedure dei lavori pubblici hanno rallentato il rilancio degli investimenti in opere pubbliche e infrastrutture, mentre le complicazioni nell’utilizzo dei fondi europei e italiani per le aree meridionali hanno fatto sì che gli investimenti siano andati a rilento. A ciò si aggiunga la crisi della Fiat ora in fase di rilancio, che nel 2010 ha fatto molta cassa integrazione, conseguenza del suo pregresso declino di competitività. Sarebbe meglio che la Cgil non frapponesse ostacoli al nuovo modello di contratto di lavoro aziendale lanciato da Marchionne, basato sulla produttività. E qui subentra la riflessione sul tema di come fronteggiare l'inflazione, che a febbraio è arrivata al 2,4%. È un po’ meno della media europea, ma è pur sempre un fenomeno negativo che incide sul potere di acquisto del lavoro dipendente e dei titoli a reddito fisso delle famiglie. L’inflazione ha cause esterne. L’enorme quantità di moneta emessa dalla Federal Reserve, la Banca Centrale degli Usa, acquistando centinaia di miliardi di dollari di debito pubblico del governo federale, si è diffusa sui mercati internazionali, facendo salire i prezzi delle materie prime, in particolare petrolio e alimentari di base. Con il tasso di interesse quasi a zero sui mercati monetari, gli speculatori comprano materie prime a termine, scommettendo sui rialzo dei prezzi, che essi stessi così accentuano, in quanto la loro domanda si aggiunge a quella dei Paesi in via di sviluppo in forte crescita. I disordini nell’Africa settentrionale contribuiscono ad accentuare questo rialzo, anche se si tratta di un fenomeno transitorio, dato che l’offerta effettiva di petrolio non si è ridotta, perché l'Arabia Saudita ha aumentato la sua. Noi possiamo combattere l’inflazione solo con lo sviluppo della produttività del lavoro e delle entità produttive private e pubbliche. Ciò consente di avere un miglioramento di compensi, che controbilancia i rincari, senza alimentare una spirale fra salari e prezzi. Con le imprese che dipendono dal commercio estero e i vincoli al bilancio pubblico, questa è l'unica strada percorribile.

E anche per il problema della disoccupazione giovanile vale una analoga considerazione. Però continuano a aumentare gli immigrati che fanno lavori che i nostri non amano fare e ci sono molte domande di manodopera inesaudite per arti e mestieri a cui troppo pochi si indirizzano.

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