RomaPreoccupazioni differenti, ma complementari, in via XX Settembre e in via Nazionale per l’affaire Unicredit. Le sorti della pricipale banca italiana non possono non stare a cuore a Giulio Tremonti e Mario Draghi. Il ministro dell’Economia si concentra sugli effetti di una possibile rivoluzione che, partendo da piazza Cordusio, si estenda al «sistema Italia». Il governatore della Banca d’Italia attende le risposte sulle possibili conseguenze in termini di governance della banca guidata fino a ieri da Alessandro Profumo. I soci libici sono, di fatto, un tutt’uno? A questa e altre domande, Unicredit dovrà replicare entro il 30 settembre. Ma quelle domande riguardavano solo l’ingresso dei libici; adesso il quadro si è allargato, con la possibilità di un governo societario instabile. Il che, ovviamente, è molto più grave. A tarda sera, le luci dello studio del governatore a Palazzo Koch erano ancora accese.
Quella di Unicredit è una crisi al buio, Tremonti concorda su questa analisi. Crisi al buio, e con conseguenze tutte da verificare per il «sistema Italia». Basti ricordare la presenza capillare di Unicredit nei Paesi dell’Est europeo, dove - guardacaso - le imprese italiane sono in primissima fila, e dove l’interscambio con il nostro Paese è fortissimo. Qual è il gioco dei tedeschi in questo quadro? Il passaggio delle deleghe di Profumo a Dieter Rampl sposterebbe fatalmente l’asse decisionale di Unicredit da Milano alla Germania. Con conseguenze tutte da valutare.
Unicredit rappresenta una delle (poche) realtà competitive del sistema, ed ecco perché nei giorni scorsi il ministro dell’Economia ha fatto qualche passo in proposito. Lunedì ha incontrato i principali banchieri italiani - Profumo, ma anche Corrado Passera e Giovanni Perissinotto - nel corso di una riunione a porte chiuse dell’Aspen, a cui ha partecipato la vicedirettrice generale di Bankitalia, Anna Maria Tarantola.
A quanto si dice, il ministro non è preoccupato della presenza libica nell’azionariato, che interpreta come un investimento finanziario: i libici hanno comprato a poco, aspetterebbero di rivendere ai massimi. Diverso il ruolo delle Fondazioni, la cui presenza nell’azionariato della banca dovrebbe essere strategica e stabile, non legata alle fortune finanziarie di breve-medio termine. E c’è infine l’incognita tedesca.
Al contrario, sulla presenza della Banca centrale libica, con il 4,99%, e del fondo sovrano Lia (Lybian Authority Investment) con il 2,594%, si sono accesi i riflettori di Bankitalia e della Consob.
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