Treviso, ecco come si fa giustizia tra i rom: uno stupro risarcito con il bottino di 50 furti

Faida tra zio e nipote con una serie di raid punitivi e sparatorie. Il consiglio degli anziani convoca le parti e impone l’accordo

Treviso, ecco come si fa giustizia tra i rom: 
uno stupro risarcito con il bottino di 50 furti

Anche il codice non scritto dei rom, a suo modo, prevede la prescrizione breve. Pure per reati gravissimi, come lo stupro. Basta che carnefice e vittima si mettano d’accordo sul risarcimento in grado di mettere una pietra sopra sull’accaduto. Senza bisogno che intervenga il giudice, così come lo intendiamo noi. È sufficiente la «sentenza» del consiglio degli anziani che, secondo quanto rivelato dal Gazzettino, a Treviso avrebbe condannato lo stupratore a versare alla vittima della violenza sessuale l’equivalente di 50 furti, più o meno 100 mila euro, stando alle medie dei colpi eseguiti dai nomadi nella Marca. Una storia strana, odiosa, quella maturata nell’ambito delle difficilmente distinguibili parentele della comunità rom.

Tutto parte da una violenza sessuale subita da una minorenne del campo nomadi. Almeno stando alla denuncia che, nonostante le usanze del gruppo, i genitori avrebbero presentato alla questura di Treviso. Ed è proprio in seguito a questa denuncia che la polizia ha iniziato a eseguire delle perquisizioni a casa delle famiglie che, nel frattempo, avrebbero provveduto a chiudere la questione al di fuori delle aule del tribunale e obbedendo ai più vincolanti patti di sangue. Le puntate di questa saga tra rom inizia con la condanna all’esilio, emessa dalla comunità, nei confronti del presunto stupratore, un ventiquattrenne.

L’esilio, per i rom, è un’onta difficilmente digeribile, e infatti il giovane non la digerisce. Per questo architetta una vendetta dura nei confronti dello zio, 52 anni, ritenuto l’ispiratore della condanna, e gli manda a casa quattro bruti per dargli una lezione. Gli energumeni eseguono l’incarico, percuotendo l’uomo e la moglie, sorpresi nel sonno. Lo zio risponde con la stessa moneta e, secondo le accuse, spara diversi colpi di pistola contro la casa del nipote, quasi a voler dire non-mi-fai-paura. La polizia prova a spezzare questa catena di violenze ma si raccapezza a fatica in questa matassa di risentimenti familiari. Ci pensa il consiglio degli anziani dei rom a inventare un sistema per chiudere la questione «in pace».

I due litiganti vengono messi a confronto. Saggezze e giustizia devono essere mescolate per evitare che si inneschi una spirale di vendetta dalle conseguenze immaginabili. Se da un lato il giovane non accetta l’esilio, dall’altro il padre della vittima vuole che vanga lavata l’onta della violenza subita dalla ragazzina. Come? Ecco la sentenza compromissoria: il ricavato dei prossimi 50 furti andranno a lei. Un reato cancellato con altri reati, ecco la legge rom, altro che terzo grado di giudizio. Qui si fa in fretta, basta mettersi d’accordo. E zio e nipote si mettono d’accordo con una stretta di mano. Il caso è chiuso. Per i rom. Un po’ meno per la giustizia italiana.

La polizia ha passato al setaccio le abitazioni delle famiglie coinvolte alla ricerca delle armi usate per spaventare il nipote. Nulla di fatto, al momento. E dall’ultimo confronto eseguito tra parenti della vittima e parenti del presunto violentatore, agli agenti sarebbe stata fornita una versione tranquillizzante: «Non è successo niente, abbiamo chiarito tutto».

E lo stupro? La violenza sessuale? «Macché violenza - hanno cercato di spiegare - nessuna ragazza è stata stuprata, questa è una leggenda.

Gli spari? Niente, un malinteso, una discussione degenerata per l’alcol». Il tribunale dei rom ha già emesso la sentenza, non scritta, assai breve e definitiva. Cinquanta furti. A partire da domani. L’onore della famiglia è salvo, la «giustizia» ha trionfato.

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