Sala stampa del tribunale di Milano, mattinata di noia moraviana. Entra un tizio e chiede: «Scusate, in che aula è il mosaico di Sironi?». E così ai cronisti giudiziari tocca ricordarsi di lavorare in un palazzo che è un capolavoro dell’architettura razionalista, nel quale le aule (anche se nessuno di solito ci fa caso) ospitano capolavori che starebbero bene al Guggenheim, e persino scale e corridoi stanno nelle pagine dei libri di architettura.
E non è finita. Il palazzo di giustizia milanese si prepara ad arricchire la sua pinacoteca. Non solo le aule di udienza, ma anche le stanze dei giudici riceveranno in dotazione molte decine di opere d’arte provenienti dal patrimonio pubblico milanese. Un accordo tra vertici della Corte d’appello e responsabili delle collezioni ha permesso che vengano destinate al tribunale una parte delle opere che non trovano spazio espositivo al Museo del Novecento, ospitato dall’Arengario di piazza del Duomo, e nella casa museo Boschi-De Stefano in via Giorgio Jan. La scelta non è casuale: si è voluto portare a palazzo di giustizia opere provenienti dallo stesso periodo storico, gli anni Trenta del secolo scorso, in cui il palazzo venne progettato e realizzato.
Questa iniziativa - va sottolineato - è figlia di una consapevolezza piuttosto recente. Per molti anni il valore artistico del «palazzaccio» è stato trascurato dai suoi stessi inquilini, ovvero i magistrati e gli avvocati, che hanno permesso interventi devastanti come il sopralzo (la realizzazione del sesto e settimo piano) e persino la distruzione a colpi d’ascia di molti degli arredi originali disegnati personalmente da Pier Maria Piacentini, il progettista del palazzo. Molte panche e sedie di Piacentini sono finite in discarica, rimpiazzate da poltroncine in puro stile aeroportuale. E probabilmente, nel sottovalutare la rilevanza storica dell’intero tribunale, ha pesato il fatto che si trattasse di architettura indubbiamente fascista, in cui anche la distribuzione degli spazi sottintende una concezione totalitaria del rapporto tra cittadino e giustizia.
Ma poi, un po’ per volta, giudici e avvocati hanno preso coscienza di lavorare in un pezzo di storia. Così, ormai tramontata l’ipotesi del trasloco, sono partiti gli interventi di recupero: come il restauro di molti degli affreschi, compreso quello nell’aula della Quinta sezione penale che ha riportato alla luce (cosa fino a pochi anni fa impensabile) il ritratto del cavalier Benito Mussolini. Gli arredi d’epoca sono stati in alcune aule riportati a nuovo, e sulle sedie in legno massiccio è tornato a brillare lo scudo dei Savoia. Le inverosimili gabbie in alluminio piazzate negli atrii sono in corso di smantellamento.
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