Cultura e Spettacoli

TROLLOPE Il postino dei sentimenti

Molto apprezzato da Tolstoj, questo Balzac inglese scriveva 3000 parole al giorno

TROLLOPE Il postino dei sentimenti

C’è una sorta di mistero nella sorte di Anthony Trollope in Italia. Pare che l’iniziativa di diffondere le opere di questo grande scrittore vittoriano, e di rimediare alla modesta conoscenza che di lui permane, si svolga alla periferia degli imperi editoriali. A parte The Warden, tradotto per Garzanti nel ’51 da Agostino Lombardo col titolo Un caso di coscienza (di recente riproposto), e tradotto da Luigi Berti nel ’52 per la Bur di Rizzoli col titolo Gli scrupoli di Mister Harding (non più presente in catalogo), e a parte ancora la Utet, che negli stessi anni pubblicò Le torri di Barchester (ancora disponibile), sono stati alcuni piccoli editori a spezzare singole lance in favore di Trollope: Passigli, Tranchida e, più generosamente, Sellerio.
Tuttavia di Trollope, a non tener conto dei titoli caduti nel dimenticatoio, continuano a mancare edizioni di libri importanti come The Prime Minister o come l’Autobiography, che per candore e freschezza resta uno dei suoi libri più belli; e rimedia poco la pubblicazione ora, da parte di un altro volonteroso piccolo editore, di un romanzo minore, per di più reso in italiano con non poche crudezze espressive: Troppo tardi per amare (Marlin, pagg. 260, euro 12,90, traduzione di Vincenzo Pepe), che dà pretesto qui per evocare la figura complessiva, e la singolare vita, di questo scrittore.
La sua singolarità principale sta nel contrasto vistoso fra vita e opera: fra l’esito narrativo piano, sempre decoroso, inoppugnabile, del suo verismo fotografico da un lato, e dall’altro un’infanzia, un ambiente familiare, anzi semplicemente una vita, che pareva non lasciare alcuna aspettativa, che diceva sempre di no per favorire altri. Una vita di lavoro molto produttivo al servizio postale inglese, durante il quale la parallela, prodigiosa e metodica attività di scrittura era fatta in sordina, quasi vergognandosene con la madre, vedova intraprendente e un po’ mitomane, tutta fissata sull’altro figlio Tom, eletto a surrogato di marito e protettore, autrice di un Usi e costumi domestici degli americani, sorpresa a un certo punto che il figlio sempre poco considerato scrivesse dei libri.
È singolare infatti che Anthony, nato nel 1815, non sviluppasse da ragazzino alcun complesso o nevrosi, che non covasse da adulto rancori e veleni. Senza ferite psicologiche, cresciuto forte e robusto, miracolosamente equilibrato, impermeabile alle avversità e come spettatore delle medesime, continuò a macinare la sua vita con tenacia. Neppure certe stravaganze caratteriali del padre lo segnarono. Questi era un barrister, l’avvocato con la parrucca abilitato a patrocinare nei tribunali di grado superiore, un uomo noiosissimo, ossessivamente preciso, impopolare tra i colleghi, e insomma con poco lavoro. Decise di mettere su una fattoria che non funzionò, volle che Anthony frequentasse la sua stessa scuola upper-class pur lasciando che il figlio fosse deriso dai compagni per le scarpe rotte e i miseri panni, ebbe l’idea di trasferire la famiglia in America, a Cincinnati, per aprirvi un emporio, piccolo supermarket ante litteram, che fallì nel giro di tre anni, durante i quali Anthony fu lasciato solo a Londra, infine divenne pazzo del tutto, mugugnando contro il mondo intero, e morì.
Fu grazie alle buone conoscenze della madre che Anthony fu assunto al General Post Office. Dai 19 ai 26 anni, con rari amici, pochi soldi, molto bisogno d’affetto, scarsa confidenza col sesso, vaghe infatuazioni e qualche commercio con prostitute, stette a Londra, finché intervenne il caso a determinare una svolta: lo trasferirono in Irlanda, come assistente del Surveyor delle poste, e il suo compito era controllare il funzionamento del servizio, visitare in sperduti villaggi gli uffici postali, parlare con gli utenti. Fu lui ad avere l’idea delle cassette postali cilindriche che restarono un’icona dell’Inghilterra.
Faceva ogni giorno quaranta miglia in sella, ma come gli era confacente quella vita all’aria aperta, come avevano senso quei contatti con la gente, com’erano interessanti le facce, i colloqui, le storie, le vite dei curati, le donne, i casi umani! Così «normali», antieroici, naturali, così invitanti a essere riprodotti e celebrati sulla carta.
Si sposò con Rose, moglie modello che gli fu vicina tutta la vita, l’unica persona che potesse leggere i suoi scritti prima che diventassero dei libri, la prima a giudicare ogni opera di questo segreto Balzac inglese amato da Tolstoj. E Anthony fece l’assistente Surveyor in altri posti d’Irlanda, in Scozia, nel centro d’Inghilterra, e fu inviato in missioni e consulenze postali in Italia, Egitto, Indie occidentali, Australia. La sua metodicità nel lavoro letterario potrebbe sembrare pedestre oltre che sorprendente: quando ormai, dopo Le torri di Barchester, era diventato uno dei romanzieri più popolari d’Inghilterra, ed era un capo-Surveyors ma sempre un caso a parte nella gerarchia delle Poste, e abitava in una bella casa nell’Essex, egli si alzava alle cinque e mezzo del mattino, si sedeva alla scrivania, rileggeva fino alle sei ciò che aveva scritto il giorno prima, alle sei si metteva a scrivere, fino alle nove e mezzo, e dovevano essere sempre 200 parole circa ogni quarto d’ora, 3.000 al giorno; dopo di che faceva una buona colazione e alle undici era in ufficio. Strano come, da questa tecnica di lavoro, potessero nascere alcuni romanzi inglesi ritenuti tra i più belli del tempo: Framley Parsonage, Orley Farm, The Small House at Allington, The Last Chronicle of Barset, Can You Forgive Her?.
Sempre più, avanzando l’età, con la sua barbona marxiana e lo sguardo dritto, aveva un’aria da leone severo e buono. Forse buono lo era, ma senza alcuna diplomazia, senza l’appeal di Dickens, mister Sentimento Popolare, che tanto piaceva a tutti. Fece il passo falso di candidarsi al Parlamento, ma per farsi eleggere ci sarebbe voluto ben altro che la sua risata fragorosa e la sua corpulenza. Morì nel 1882 a sessantasette anni, quando da un po’ si sentiva un vecchio.
Non era certo un vecchio nel 1860, quando aveva conosciuto a Firenze Kate Field, una ventunenne americana di Boston. Avvenne al Villino Trollope, dove sempre con un certo agio, forse al di sopra delle possibilità, viveva la madre di Trollope col primogenito Tom, anche lui scrittore, sposato e poi vedovo, e poi di nuovo sposato con una sorella dell’amante di Dickens, che era un intimo di casa, come George Eliot. Ci fu subito un’intesa profonda tra Anthony e Kate, si reincontrarono due anni dopo a Boston e a New York quando i Trollope andarono in America, e Rose Trollope, che capiva la natura di quell’affetto sublimato tra suo marito e quella donna che cercava un padre, volle addirittura che venisse a stare da loro quando Kate venne a Londra.


Fu un amore non consumato, rimasto forse come una spina nel fianco, come nel protagonista di Troppo tardi per amare.

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