Tronchetti e furbetti

Le vicende Telecom anche questa estate infiammeranno le cronache. In un pasticcio di intercettazioni, o presunte tali, funzionari infedeli, drammatici eventi di nera, querele reciproche e commerci di bassezze, si gioca per l’ennesima volta una partita importante per il controllo di uno dei principali gruppi del Paese. Telecom, per il nostro mercato-stagnetto, è un colosso. Fattura 30 miliardi di euro, ne investe più di 2. Ha un risultato operativo vicino ai 4 miliardi e elargisce dividendi per 3 miliardi. Ma, e qui sta il pasticcio, si porta dietro un debito da quasi 40 miliardi di euro. E ha un azionista (la Pirelli di Marco Tronchetti e i Benetton) che in mano ha ufficialmente solo il 18 per cento del capitale. Il resto è libero: potenzialmente for sale.
Ma la storia, recente, di Telecom ha da insegnarci qualcosa.
Primo. Quando il titolo in Borsa scende sotto una certa soglia (ora è quella di 2 euro), si grida al rischio di scalata. Come ai tempi di Roberto Colaninno, il titolo è alla soglia di allarme. E con il debito che grava sulla società i margini di difesa per gli attuali azionisti si assottigliano. Basti pensare che basta il 30% per comandare in Telecom. Una quota che vale 8 miliardi di euro.
Secondo. Quando la società si trova sotto potenziale scalata spunta un cavaliere bianco straniero. Nel nostro caso è Rupert Murdoch, il tycoon austro-americano delle televisioni satellitari. All’epoca di Colaninno e Gnutti si parlava della spagnola Endesa, ma in realtà il fantasma era quello, poi ricorrente, di Telefonica. I cavalieri stranieri nella storia Telecom sono stati il miglior viatico per un salvatore italiano.
Terzo. I governi guardano con una certa preoccupazione al passaggio di Telecom sotto bandiere straniere. Oggi come ieri si parla di attività strategiche per il Paese. E oggi più di ieri, come dimostra lo stallo nella fusione tra l’italiana Autostrade (guarda caso proprio dei Benetton) e gli spagnoli di Abertis, la politica vuole dire la sua quando uno straniero si pappa bocconi tricolori.
Fatte queste premesse si possono meglio interpretare le preoccupate parole pronunciate da Tronchetti: «Qualche gruppo editoriale sta cercando di indebolirci» e ancora: siamo «in una situazione che ci vede al centro, da parecchi mesi, di attacchi esterni che venivano portati avanti da editori senza scrupoli». È un siluro diretto e preciso a Carlo De Benedetti e al suo gruppo editoriale. Condito da reciproche querele. Ma la storia si potrebbe chiudere in questo istante se appunto non ci fosse una congenita debolezza nell’azionariato e dunque nel controllo di Telecom Italia. Le antipatie reciproche si smussano, gli interessi economici contrapposti non si sanano.
La stabilizzazione dell’azionariato di Telecom può infatti passare da due porte di ingresso. Quella superiore è fatta dalla holding Olimpia che ha in tasca il 18% di Telecom. Ma è una porta che può aprire solo Tronchetti e dunque che può vedere l’ingresso solo di un socio gradito. La porta di ingresso, per così dire ostile, è quella di Telecom. In fondo sul mercato è parcheggiato l’82% dell’azienda di tlc e chi volesse sfilare i telefoni italiani ad Olimpia, non avrebbe che da accomodarsi. Ma è una porta molto stretta. Intanto perché Tronchetti ha qualche quota diretta in Telecom che aumenta la sua presa e poi perché il mercato rumoreggia di una sua possibile alleanza con investitori che porta la quota a lui indirettamente riferibile a livelli ben più alti dell’ufficiale 18%.
Vi è una terza via. La meno ufficiale. Che però necessita di un Tronchetti ferito, indebolito e con poche frecce finanziarie al suo arco. È quella che passa per la costituzione di pacchetti di azioni Telecom importanti e divisi tra vari soggetti. Sotto al 2 per cento non vi è alcun obbligo di comunicazione pubblica delle proprie quote. A questi pacchetti eventualmente rastrellati si potrebbe poi aggiungere quella riserva di azioni Telecom ancora in mano a Gnutti e pari al 3,6%. Sui quali ci sono diritti di prelazione a favore di Tronchetti, ma che sono esercitabili solo con contanti fumanti. Insomma, in un clima di «delegittimazione», una scalata surrettizia di questo tipo potrebbe avere qualche chance.
Carlo De Benedetti (e suo figlio Marco che ha amministrato Tim per anni anche sotto Tronchetti) conosce da navigato finanziere la situazione in cui si trova Telecom. Quando la Pirelli di Tronchetti decise cinque anni fa di comprare la quota di controllo di Telecom dall’accoppiata Gnutti-Colaninno, si oppose decisamente. Così come, andando a ritroso, De Benedetti criticò fortemente il suo ex manager Colaninno quando vendette Omnitel-Infostrada ai tedeschi per portarsi a casa Telecom, con la madre di tutte le scalate. Il finanziere sente che a questo giro rischia di rimanere a bocca asciutta.
Tronchetti sta infatti lottando fino all’ultimo respiro. Ha puntato sulla casella Telecom tutto il suo patrimonio. Pirelli un tempo aveva almeno tre gambe: cavi per energia e tlc e gli pneumatici. I primi due li ha venduti. E proprio ieri si è portato a casa 740 milioni cedendo alle banche il 39 per cento della Pirelli Tyre. A côtè ha sfruttato alla grande gli immobili: un business in condominio con Carlo Puri Negri, che insiste affinché Pirelli mantenga ancora il controllo assoluto della casa. Pirelli risanata da Tronchetti nei suoi affari tradizionali ha però venduto il vendibile per puntare tutto sulle tlc. E il fatto che proprio ieri con pervicacia Tronchetti abbia portato a casa ulteriori 700 milioni dimostra come il manager non abbia la minima intenzione di mollare la presa. A ciò si aggiunga che Telecom si trova in pancia un tesoro tutto da valorizzare: Telecom Italia Media. Le televisioni, i media. Che assumono un valore strategico per due ordini di motivi. Il primo è la tanto vituperata legge Gasparri che apre il mercato ad operatori terzi. Vi è un limite per coloro che fanno telefoni in posizione di forza. Ma ciò vuol dire che Ti media fuori da Telecom ha tutt’altro valore competitivo e strategico. In più, secondo elemento di appeal speculativo, certe arie punitive nei confronti del gruppo televisivo Mediaset potrebbero parallelamente avvantaggiare un possibile nuovo entrante nella battaglia delle audience. Ecco il balzo in Borsa di Telecom Media che, nonostante perda due terzi di quanto fatturi, ha una capitalizzazione di più di 1,1 miliardi di euro. Cifra da capogiro.
Il ruolo di Ti media diventa così strategico in due scenari. Primo. Un eventuale scalatore ostile di Telecom potrebbe finanziare la sua acquisizione vendendo poi con facilità il pezzo pregiato delle televisioni. Non solo otterrebbe un po’ di risorse indietro, ma potrebbe utilizzare la vendita di Ti Media per rendersi gradito all’establishment politico finanziario che comunque dovrebbe, in questa eventualità, mollare Tronchetti.
Secondo. Tronchetti potrebbe non opporsi all’entrata di un socio forte in Telecom. Questi compra titoli delle tlc, compreso il pacchetto in mano a Gnutti. Una volta raggranellata una quota, comunque sotto il 10% di Telecom, la potrebbe conferire attraverso un aumento di capitale in Olimpia e dunque stabilizzare l’azionariato. In questo scenario se il socio forte dovesse (si veda Murdoch) avere problemi di antitrust televisivo, Ti Media sarebbe for sale.Non è un caso che ieri sono giunte precise e puntuali le smentite del gruppo De Benedetti e di quello De Agostini di possibili loro interessi all’acquisto di Media: se ne parlava su tutti i giornali da settimane. Ma da altrettanto si fa il nome del gruppo Rcs. Che ieri ha invece taciuto.

Il feuilleton finanziario di questa estate vede due nemici per la pelle (De Benedetti e Tronchetti) che se le danno di santa ragione. La posta in gioco è altissima: il futuro di una delle più importanti aziende italiane e in subordine il futuro del nuovo assetto mediatico italiano che tecnologia, Gasparri e revanche unioniste, cambieranno.

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