nostro inviato a Padova
Un calice di prosecco in mano, lo sguardo basso e pensoso, Walter Veltroni sussurra una delle sue massime eterne all'orecchio di Mario Carraro, imprenditore padovano amico della sinistra. «Le cose difficili sono quelle che ci piacciono di più», confessa l'aspirante leader del Partito democratico. Nella sala dello storico Caffè Pedrocchi, tra vecchie lampade e buffet, Veltroni saggia il Nordest dopo l'esordio di Torino. In serata richiama un foltissimo pubblico al centro Papa Luciani, dove parla di alta politica sfiorando i temi legati al Pd. Ma il sindaco diessino Flavio Zanonato all'ora dell'aperitivo gli organizza nel cuore della città un incontro con imprenditori, commercianti e sindacalisti.
Veltroni tasta il polso di questa zona, da cui a settembre farà partire la propria corsa verso la leadership della sinistra riformista. Non c'è molta gente, ma lui è felice lo stesso: dà del tu a tutti, baci, abbracci e pacche sulle spalle. Ma i suoi interlocutori tengono le distanze e lo bombardano: nessuno gli chiede della politica, degli equilibri con la Margherita, degli organigrammi. Si parla soltanto di tasse, federalismo, produttività, riforme. Questioni concrete. Le risposte di Veltroni sono quelle già sentite a Torino: dove non ricalca il programma del centrodestra, il sindaco di Roma promette di studiare la situazione.
«Datemi i vostri numeri di telefono, vi chiamerò e vi manderò i miei collaboratori tra cui sicuramente il senatore Morando, perché voglio che il mio programma tenga presente le vostre esigenze». E sfodera il vasto repertorio di slogan: occorre uno shock innovativo, cambiamo filosofia, voltiamo pagina, sediamoci a un tavolo. Imprenditori e commercianti lo incalzano sulle tasse. Seduti a un tavolino davanti al Pedrocchi, Francesco Peghin (Unindustria), Nicola Rossi (Confesercenti), Fernando Zilio (commercianti Ascom), Sergio Gelain (artigiani Cna) sgranano il rosario delle lamentele. Veltroni da una parte difende il governo («ha modificato gli studi di settore, riformerà il sistema e i costi della politica, introdurrà il federalismo fiscale»), ma riconosce anche che «le tasse sono troppo alte. Occorre abbassare la pressione e combattere l'evasione, dobbiamo trovare un nuovo punto di equilibrio». Peghin accenna ai problemi della delocalizzazione, «la struttura produttiva italiana è basata sui medi e piccoli produttori e qualcuno se n'è dimenticato». Veltroni annuisce: dobbiamo aiutare i piccoli a diventare grandi.
Zilio cambia tema, insiste sulla poca sicurezza, Rossi protesta perché «Padova è sempre in prima pagina», Mario Carraro ricorda «i tempi in cui si stava anche peggio ma non c'erano i giornali che gonfiavano tutto». Veltroni ne approfitta per parlare di riforme: «Da sindaco di Roma posso dire che le città sono molto migliorate da quando c'è il nuovo sistema elettorale: grazie al rapporto diretto con gli elettori, il primo cittadino ha più potere. Bisogna fare la stessa cosa con le istituzioni nazionali, dare maggiori poteri a chi governa e rafforzare il ruolo di controllo e indirizzo del Parlamento». Ad esempio, dice Veltroni, se la legge finanziaria fosse discussa semplicemente in commissione e andasse in aula soltanto per il voto in tempi certi, si eviterebbero le lungaggini di oggi e soprattutto il mercato degli emendamenti».
La vita politica italiana dev'essere velocizzata: ecco l'obiettivo. «La legge elettorale non dev'essere fatta per ostacolare l'avversario, come adesso, ma per favorire la governabilità. Io sono stato a Palazzo Chigi, conosco quant'è difficile far passare un disegno di legge del governo. L'Italia è il Paese dei veti dove nessuno decide. Ma così si corrode la democrazia».
Nel tavolino a fianco lo attendono i sindacalisti. «Dopo gli imprenditori, i lavoratori dipendenti», sorride il sindaco Zanonato. Ma Veltroni non apprezza, e lo ricorda anche ai rappresentanti della Triplice: «Bisogna rimuovere l'idea che il conflitto è tra categorie produttive, la contrapposizione tra dipendenti e autonomi è il suicidio del Paese».
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