Troppi soldi agli ippodromi in un periodo di grave crisi

La scorsa settimana abbiamo visto come il montepremi dell’ippica sia «volatile» e «sottoposto» (in tutti i sensi), alla cosiddettA convenzione tra l’Unire e le Società di corse. L’attuale tendenza alla riduzione delle risorse a disposizione del bilancio Unire, a causa della contrazione delle scommesse (-2,8 %), di fatto porta ad una riduzione del montepremi, con ciò oscurando pericolosamente il compito primario dell’ente, mettendo a forte rischio lo sviluppo dell’allevamento, se non la sua sopravvivenza. Cercherò di esporre, semplificando il più possibile, anche a rischio della chiarezza, il perché è assolutamente necessario rivedere e riformare alla radice, l’attuale rapporto tra Unire e Società di corse, con l’obbiettivo primario di riportare l’Unire alla sua vera missione originaria e principale: l’incremento e miglioramento delle razze equine. Attualmente le Società di corse godono di una convenzione, con scadenza al 31 dicembre 2008, concausa, non delle minori, degli squilibri del settore, in particolare il montepremi e l’allevamento. La convenzione, altro non è che un contratto tra un Ente pubblico, l’Unire e dei privati che posseggono, ovvero gestiscono, gli ippodromi. Comporta una serie di remunerazioni per il servizio che svolgono, parametrate su percentuali oggettivamente riscontrabili, quali il movimento del gioco all’interno degli ippodromi (pochissima cosa), che all’esterno attraverso le Agenzie ippiche o altri collettori, e sino a qui mi pare siamo nel ragionevole. Una ulteriore remunerazione riguarda l’utilizzo da parte dell’Unire del segnale televisivo, remunerato da mille a quattromilacinquecento euro per giornata di corse, secondo standard qualitativi degli impianti di ripresa. Anche da qui probabilmente nascono le insormontabili difficoltà nel procedere ad una riduzione delle corse, nonostante le dichiarazioni in tal senso. Arriviamo al grosso della remunerazione che, per le dimensioni economiche raggiunte, non è più giustificabile. Gli ippodromi sono catalogati ai fini di questa remunerazione con un meccanismo a punti, graziosamente definito «corrispettivo impianti». Consiste in una serie di valutazioni che prendono in considerazione per ogni ippodromo le piste, le tribune, i box, il centro di allenamento e altri elementi utili allo svolgimento dello spettacolo. Qui arriviamo al «punto» veramente critico in tutti i sensi: per ogni punto l’Unire versa ad ogni ippodromo la cifretta di 37.950 euro l’anno.
I punti partono da un minimo di 8 per l’ippodromo più sguarnito e possono arrivare ad un massimo di oltre 120 (quattromilioni cinquecento cinquarantaquattromila euro!). Con, inoltre, un aggiornamento annuale del tipo «scala mobile».

Questo meccanismo perverso di cui è dotata l’Unire, può costituire, in alcuni casi, oltre il 50% della remunerazione totale di un ippodromo, totalmente indifferente al movimento di gioco esterno! Per assurdo, sarebbe come se i proprietari e gli allevatori, soltanto perché allevano o hanno in proprietà dei cavalli percepiscano il 50% del montepremi indifferentemente che vincano o meno, basta che corrano! Abbiamo fatto l’infelice esperienza (sempre e solo a danno del montepremi), dei «minimi garantiti» per le Agenzie ippiche, mai pagati, ora abbiamo di fatto i «minimi garantiti» per le Società di corse, tutti pagati e garantiti dall’Unire.
* consigliere dell’Anact (Associazione nazionale allevatori del cavallo trottatore)

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