Troppo presto per avere un presidente di colore

Caro Granzotto, seguo con interesse lo svolgersi della campagna elettorale negli Stati Uniti e principalmente lo scontro aperto fra i candidati repubblicani Hillary Clinton e Barack Obama. E questo non perché io tifi per uno dei due, in quanto le mie preferenze vanno a McCain, ma perché in campo democratico c’è più gara, con tanto di sorpassi e controsorpassi. Mi chiedo adesso se la contrapposizione fra Obama e la Clinton non finisca per indebolire il candidato democratico, il «nominee» come dicono loro. Lei cosa ne pensa?


Da quel che si legge pare di sì, caro Pieri. Vedremo cosa succederà a fine agosto, quando i democratici (e ovviamente anche i repubblicani) terranno la loro convention. Sempre che uno dei due candidati, la Clinton probabilmente, non si ritiri prima dalla gara. Certo è che riesce assai difficile esprimersi su queste elezioni presidenziali, farsi un’idea su chi ha le migliori carte per vincere, il 4 novembre, la partita per la Casa Bianca. Questo perché dalle cronache, dai commenti e dalle analisi della stampa americana manca la risposta a un interrogativo che, pur essendo legittimo, direi addirittura ovvio, confligge con il totem della correttezza politica. La domanda è: gli Stati Uniti sono pronti a essere rappresentati e dunque a riconoscersi in un presidente nero? Che lo siano i newyorkesi, gli ambienti liberal di Boston o di Martha Wineyard non ci piove. Ma l’America non è quella, quanto meno non solo quella. L’America è il Nevada, l’Utah, il Nebraska, il Texas, l’Oregon. Cosa ne pensano a Jackson, a Lafayette, a Shreveport, a Olimpia o a Salem di un presidente «coloured»? Cosa ne pensa la considerevole comunità Wasp, White anglo saxon protestant? Gli americani «old stock», di vecchio stampo?
Credo non ci siano dubbi che fra le quattro mura di casa gli americani quell’interrogativo se lo pongano. Eppure il tema non è nemmeno sfiorato da stampa e televisione, nemmeno preso in considerazione dai pur aggressivi sondaggisti. Perché nessuno vuole maneggiare un argomento che alla sussiegosa sensibilità della società civile appare, appunto, politicamente incorretto e forse, Dio ne guardi, di calco razzista. Però il problema resta: non riguarda la figura del candidato Obama, del quale tutti dicono, ed io credo a ragione, che abbia una notevole capacità di sedurre e trascinare le folle. Riguarda la figura del presidente, l’individuo che, come la bandiera a stelle e strisce, sintetizza ed evoca una realtà più vasta.

Ovvero un simbolo che realizza e conchiude l’idea stessa dell’America. La domanda che a costo di passar per razzista mi pongo è dunque se gli americani giudicano che sia maturo il tempo di mandare alla Casa Bianca un presidente di colore. Tutto qui, ed è un «qui» davvero non da poco.

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