La Tunisia è nel caos E Ben Alì promette: «Tranquilli, me ne vado»

Nessuno sa dire oggi come evolverà l’acutissima crisi innescata in Tunisia dall’improvviso aumento di alcuni generi di prima necessità. Ma che questo fosse un pretesto, e che in gioco ci sia piuttosto la permanenza al potere di un establishment rapace, cresciuto negli ultimi 23 anni intorno alla figura del presidente Ben Alì, appare di ora in ora più evidente. Lungi dal placarsi, gli scontri fra manifestanti e forze dell’ordine dilagano nel Paese, toccando anche il cuore della capitale, Tunisi, dove gli edifici che ospitano uffici pubblici, banche, ministeri, ambasciate, sono presidiati dall’esercito.
Otto i morti della notte fra mercoledì e giovedì, nonostante il coprifuoco imposto dopo che nella capitale si erano contati, all’inizio della settimana, cinque vittime. Ma il numero dei morti (23 secondo il governo, 66 secondo l’opposizione e gruppi di difesa dei diritti umani) sembra destinato a crescere. Tra le vittime anche un docente franco-tunisino a Douez e una cittadina con doppia nazionalità svizzera e tunisina. Al bilancio andranno aggiunti altri due morti: uno ucciso dai colpi sparati ieri dalla polizia nel quartiere di Lafayette, non lontano dalla centrale avenue Bourghiba; l’altro nella avenue de Lyon. Le fiamme della rivolta ormai si levano alte tra le palme che punteggiano il centro storico e commerciale della città, mentre alcune centinaia di persone che si erano radunate davanti all’ambasciata di Francia, e minacciavano di marciare sulla città vecchia sono state disperse con un fitto lancio di candelotti lacrimogeni. Ferito a una gamba, negli scontri, risulta essere anche un giornalista francese.
Nel caos crescente, mentre i turisti cominciano a lasciare il Paese, si rincorrono voci secondo le quali il governo starebbe per sfaldarsi, sotto la pressione della piazza che invoca un totale cambiamento politico. Dimissionario, secondo la tv satellitare Al-Arabiya, sarebbe il ministro degli Esteri Kamel Morijane, mentre lo stesso primo ministro, Mohamed Ghannouchi, sarebbe sul punto di proporre ad alcuni esponenti dell’opposizione una sorta di governo di unità nazionale. Nel tentativo di salvare il salvabile e riportare la calma sulle piazze, il presidente Ben Alì ha tenuto ieri sera un discorso alla nazione (dopo che in mattinata aveva fatto rotolare nella polvere le teste di due dei suoi più stretti consiglieri, Abdel Wahab Abdullah e Abdel Aziz Bin Dhiya) annunciando che la polizia non sparerà più sui manifestanti, che non si ricandiderà alle presidenziali del 2014 e promettendo più libertà e la fine della censura. Subito dopo l’annuncio diversi siti Internet, da anni inaccessibili, sono stati sbloccati. Tra questi Al Jazira, Flickr, Youtube, Wat.tv, Daily Motion, il sito della radio di opposizione Kalima ed altri ancora. La popolazione scende in strada esultante al grido «viva Ben Alì» e «abbiamo vinto». Intanto il prezzo di alcuni generi di prima necessità, il cui aumento aveva innescato la rivolta, è diminuito dopo l’annuncio del presidente («Il prezzo di pane, latte e zucchero calerà»). Peccato che nel frattempo, un po’ per i saccheggi ai quali sono stati sottoposti molti supermercati, un po’ per le ingenti «scorte» fatte da chi presagiva il precipitare della situazione, molti prodotti di base si stiano già rivelando introvabili. Pane, acqua minerale, latte, zucchero scarseggiano, mentre May Eljeribi, segretario generale del Partito democratico progressista e prima donna del Maghreb alla guida di un partito chiede a Ben Alì «che si formi subito un nuovo governo di unità nazionale, che garantisca subito il ritiro dell’esercito dalle città, la scarcerazione dei manifestanti arrestati ed elezioni anticipate».
A Biserta, Sousse e in alcune località della costa come Hammam Chat, Solimen, Nabeul e Hammamet, molti supermercati e centri commerciali sono stati presi d’assalto senza che la polizia, presente in forze, sia intervenuta. Un atteggiamento che ha indotto molti a ritenere che fra le bande di incappucciati che si sono distinte nell’assalto ai negozi ve ne siano alcune «organizzate e legate al governo».

Così ha detto, per esempio, il giornalista Lufti Hajji, intervistato da Al Jazeera. Secondo Hajji, le bande in questione «hanno come obiettivo quello di screditare il movimento di protesta e di portare il terrore tra i cittadini».

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