La Turchia minaccia Israele ma è una crisi solo di facciata

GerusalemmeI toni continuano a inasprirsi tra Turchia e Israele. Dopo il sanguinoso raid dell’esercito israeliano ai danni della flottiglia di attivisti pro-palestinesi in rotta verso la Striscia di Gaza in cui sono morti nove cittadini turchi, non c’è stata settimana in cui la stampa internazionale non abbia parlato di imminente crisi diplomatica tra i due governi. Eppure, finora, la rottura annunciata non è arrivata. L’ultimo capitolo del deterioramento dei rapporti tra il governo di Benjamin Netanyahu e quello del premier Recep Tayyip Erdogan si è aperto ieri sulle colonne del quotidiano turco Hurriyet. Il ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu ha detto, per la prima volta senza usare il condizionale, che Ankara «romperà le relazioni diplomatiche con Israele» se il governo non presenterà le scuse per il raid contro la flottiglia. Il premier israeliano Netanyahu, in un’intervista alla tv nazionale, aveva affermato venerdì che il suo Paese non ha intenzione di scusarsi per l’accaduto.
Nonostante le dichiarazioni forti del ministro turco, per ora la crisi è soltanto di facciata. «Non è nell’interesse di Israele e nemmeno della Turchia il deterioramento di questa relazione», ha detto sempre venerdì Netanyahu. Da Istanbul, Ilter Turan, professore di Scienze politiche all’università Bilgi, spiega al Giornale che «i due Paesi fanno sentire la propria voce senza però avere come obiettivo la distruzione dei rapporti. Ci rimetterebbero entrambi. Sia da una parte sia dall’altra, la questione è legata alla politica interna: in Israele governa una coalizione in cui siedono anche politici dalle visioni più radicali e l’esecutivo turco non vuole apparire debole davanti all’opinione pubblica».
In seguito al raid israeliano contro le navi in rotta verso la Striscia di Gaza sotto embargo israeliano, la Turchia ha richiamato in patria il suo ambasciatore, ha cancellato tre esercitazioni militari congiunte in programma con Israele, e davanti a decine di leader riuniti a Toronto per il G20, Erdogan ha annunciato la settimana scorsa la chiusura dello spazio aereo turco ai voli militari israeliani. Tuttavia, mentre l’attenzione internazionale si concentra sugli strappi di Ankara, una delegazione militare e governativa turca è in Israele in queste ore, scrive il New York Times. La Turchia avrebbe pensato di cancellare alcuni accordi militari con Israele dopo i fatti di fine maggio, ma nulla è ancora successo e un accordo da 190 milioni di dollari per la vendita di droni ad Ankara è ancora attivo. Nonostante la chiusura del suo spazio aereo, la Turchia non sembra essere incline a cancellare i propri rapporti militari e commerciali con Israele (le vendite di tecnologia bellica da Israele ad Ankara sono pari a 2 miliardi di dollari l’anno).
«Non ci sarà una definitiva rottura dei rapporti», spiega al Giornale Ephraim Inbar, esperto in relazioni tra Israele e Turchia e direttore del Begin-Sadat Center for Strategic Studies, secondo il quale Ankara ha grandi ambizioni: vuole fare il mediatore, essere una potenza regionale in Occidente e in Medio Oriente. Non prenderà quindi il rischio di rompere con Israele. Certo, conclude Inbar, «d’ora in avanti i rapporti saranno freddi e gli israeliani esiteranno a vendere tecnologia militare ai turchi per paura che le armi possano finire in Iran».
Ankara, fino all’episodio della flottiglia, è stato uno degli alleati più importanti di Israele nella regione: per il suo ruolo di mediazione tra israeliani e palestinesi e israeliani e siriani, per gli scambi militari e per la cooperazione economica. I rapporti però hanno iniziato a incrinarsi negli ultimi anni, soprattutto in seguito all’operazione israeliana contro Hamas a Gaza nel 2008.
Ora, Erdogan chiede scuse, compensi alle famiglie delle vittime, l’apertura di un’inchiesta internazionale sul raid contro la «Mavi Marmara» (Israele ha istituito una propria commissione) e la fine dell’embargo sulla Striscia.
Nonostante l’attrito tra i due paesi, i governi continuano comunque a parlare e i privati a fare affari. Questa settimana Netanyahu ha mandato in segreto a Bruxelles il suo ministro per il Commercio, Binyamin Ben Eliezer, a discutere con Davutoglu. E mentre i politici si occupano della crisi, per gli imprenditori è «business as usual». «Per quanto riguarda il volume degli affari, import ed export del settore privato, non c’è stato alcun cambiamento - spiega Menashe Carmon, presidente dell’Israel Turkey Business Council -.

Certo, chi pensava di aprire una nuova attività in Turchia aspetta di capire cosa succederà politicamente». Ma per ora, l’unica conseguenza concreta della crisi di facciata è stato il cambio di programma dei turisti israeliani: molti hanno cancellato le loro vacanze sulle coste turche.

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