«La Turchia non è pronta per l’Ue e l’Ue non è pronta per la Turchia»

Intervista con Ülkü Atatürk, figlia del fondatore dello Stato

Marta Ottaviani

da Istanbul

Suo padre, Mustafa Kemal Atatürk, è il fondatore della Turchia moderna, una figura che nel Paese viene considerata quasi leggendaria. Ülkü Adatepe, 73 anni, ultima figlia del grande statista, per molti anche la più amata, parla per la prima volta con un giornalista italiano. In una lunga intervista a il Giornale, «küçük Ülkü», la piccola Ülkü, come la chiamano tutti, racconta di come vede la Turchia, a 68 anni dalla morte del padre e alle soglie dell'ingresso in Europa.
Signora Adatepe, il 23 aprile c’è stata la festa dell’Indipendenza. Partiamo da questa data così importante. Quanto crede sia attuale oggi la figura di Atatürk?
«La figura di mio padre è molto sentita, perché lo Stato turco vive ancora delle riforme operate da lui fra il 1923 e il 1938».
Atatürk ha avuto sei figli, tre maschi e tre femmine. Eppure nessuno di voi ha mai fatto politica. Come mai?
«Questa è una cosa che pochi sanno e che dimostra ancora una volta la grandezza di Atatürk. Quando morì lasciò scritto nel testamento che nessuno dei suoi figli avrebbe dovuto fare politica. Ovviamente ci spiegò le motivazioni di quella decisione. Disse che la politica spesso è un ambiente sporco. Non avrebbe potuto tollerare che qualcuno usasse noi e il nostro nome per raccogliere potere e consensi. E poi aggiunse che poteva garantire sulla sua buona fede, ma non su quella dei suoi figli. Per lui la Turchia veniva prima della sua stessa famiglia».
Come l’avete presa? A pensarci bene vi ha impedito di fare una cosa per sempre...
«Abbiamo rispettato la sua scelta perché abbiamo capito da quali ragioni era dettata. Per quanto mi riguarda non mi è dispiaciuto. Non ho fatto politica, ma ho dedicato tutta la vita all’impegno civile, portando tra la gente il pensiero e i valori di Atatürk. Sono orgogliosa di essere sua figlia».
Suo padre è stato l’autore di una delle più straordinarie stagioni di riforme del XX secolo, soprattutto per quanto riguarda la condizione delle donne. Secondo lei, adesso come vivono le donne in Turchia?
«Purtroppo la morte prematura di mio padre (avvenuta a soli 57 anni, nel 1938 ndr) ha lasciato l’opera incompiuta, e nessuno l’ha più completata. Le donne oggi in Turchia hanno ancora molti problemi, soprattutto in alcune zone del Paese. Mio padre credeva moltissimo nelle nostre potenzialità. Diceva che la Turchia moderna doveva fondarsi sulle donne e sui giovani».
La rivista «Tempo» tre settimane fa ha pubblicato un sondaggio secondo il quale oltre il 50% del popolo turco si dichiara profondamente nazionalista e teme l’ingresso in Europa. Il suo Paese è pronto per l’Unione Europea?
«No. È ancora troppo presto. Ci vorrà molto tempo, molto più di quello previsto dagli accordi internazionali, perché la Turchia non è pronta per l’Europa e viceversa. Cercare di forzare la situzione non ha senso. Adesso assistiamo a una Turchia che vuole entrare a tutti i costi, facendo anche concessioni che non tengono conto dei valori del popolo turco. E a un’Europa che è molto interessata al suo potenziale strategico ed economico. Credo che Europa e Turchia abbiano bisogno l’una dell’altra e che il mio Paese possa dare tantissimo. Ma non è ancora arrivato il momento. Ogni tanto penso che se papà fosse vissuto più a lungo e avesse portato a termine le sue riforme ora avremmo molta meno strada da fare».
Quali sono i problemi più urgenti da risolvere secondo lei?
«Il primo problema è che in questo momento ci sono due Turchie. Molte persone credono che tutto sia come Istanbul. Ma non è vero. Bisogna intervenire sull’Est del Paese, dove c’è ancora tanto analfabetismo, dove i bambini non vanno a scuola e vengono avviati al lavoro nero, dove le donne spesso non sono libere. Si sta venendo a creare un dislivello sociale preoccupante. Adesso ci sono pochi ricchi e milioni di poveri».
Osservando i siti Internet e i simboli dei partiti turchi si rimane colpiti dal fatto che tutti usano l’immagine di suo padre. Dall’estrema destra alla sinistra. Non le sorge ogni tanto il dubbio che qualcuno voglia appropriarsi indebitamente del suo pensiero?
«La verità è che mio padre è un riferimento inevitabile per chi vuole fare politica in questo Paese. Comunque le confesso che non mi dispiace. Aiutano a mantenere ancora più vivo il suo ricordo».
Secondo lei, quale fra i leader politici turchi può essere paragonato anche solo lontanamente a suo padre?
«Nessuno, nemmeno lontanamente».
Che cosa dovrebbero imitare di suo padre?
«L’umanità. La classe politica di oggi non sa più stare fra la gente e ascoltarla come faceva lui».
Nelle settimane scorse il presidente della Repubblica Sezer ha colto tutti di sorpresa, dichiarando che la democrazia del Paese è in pericolo. Un attacco diretto al governo Erdogan. Ha esagerato o si tratta di un rischio reale?
«Penso che abbia fatto bene perché il rischio esiste ed è inutile nasconderlo».
Sta parlando di un rischio di deriva nazionalista unita magari anche al fanatismo religioso?
«Dico che in questo momento la Turchia attraversa un momento molto particolare perché vi sono al suo interno molte spinte estremiste. Ma sono ottimista e credo che saranno i giovani a salvarla, gli stessi su cui papà ha investito tanto. Saranno loro a impedire che gli integralisti prendano il sopravvento».
L’anno prossimo ci saranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento e quelle presidenziali. Crede che l’Akp verrà confermato alla guida del Paese?
«Non lo so. Il governo uscente ha condotto un’ottima politica in campo estero, ma ha fatto ben poco per risolvere i problemi interni del Paese, a cominciare dalla condizione delle donne per continuare con la questione curda e la grande povertà che affligge la maggior parte della Turchia. E comunque sono molto più preoccupata per l’elezione del presidente della Repubblica».
Perché?
«Glielo dico molto francamente: non voglio vedere Erdogan prendere il posto di Sezer».
Torniamo a suo padre. Che ricordo ha di lui come uomo e come genitore?
«Papà era un uomo molto elegante e distinto. Sempre impeccabile in ogni occasione. Ma aveva anche un’umanità speciale. La gente capiva subito che lui amava la Turchia e il suo popolo più di tutto».
Non si è sentita un po’ trascurata come figlia?
«Per nulla. Papà mi portava ovunque. Aveva l’incredibile qualità di riuscire a fare tutto bene. Anche il genitore. Si informava e controllava di persona tutti i nostri progressi nello studio e nello sport. Nel tempo libero cuciva per noi borse e vestiti e ci faceva giocare. Era un uomo dolcissimo».
Era severo?
«Sì, era rigoroso. Ma in modo intelligente. Non alzava mai la voce. Per lui la cosa più importante era che noi comprendessimo i nostri sbagli».
Quando suo padre è morto lei aveva solo sei anni. Che cosa ricorda di quei momenti?
«Il popolo turco e gli occhi di mio padre. Migliaia di persone erano in preghiera davanti a Dolmabache (l’antico palazzo prima reale e poi presidenziale sul Bosforo. Atatürk fu l'ultimo ad abitarvi, ndr). Aspettavano l’annuncio della morte del “Padre di tutti i Turchi”. Arrivarono persino dal mare e rimasero sulle loro barche per ore.

Papà sapeva che erano lì e piangeva perché non aveva le forze per andarli a salutare l’ultima volta».
Se potesse esprimere un desiderio...
«Chiederei di far tornare qui papà. La sua Turchia ha ancora tanto bisogno di lui».

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