Tutela allo Stato, spettacolo ai privati

C ultura, arte, paesaggio. Tre parole declinate in questi giorni sia da ministri (Giancarlo Galan, titolare del dicastero dei Beni culturali; Renato Brunetta, ministro della Funzione pubblica) sia da editorialisti e commentatori (Pierluigi Battista, sul Corriere, a esempio; Gianantonio Stella e Sergio Rizzo in Vandali, edito da Rizzoli).
Ieri, in un intervento sul Foglio, Brunetta ha proposto qualche «idea liberale» per la gestione dei Beni culturali. In sintonia con un più prudente Galan sul Sole24ore di qualche giorno fa. Il ministro della Funzione pubblica propone, in sostanza, la distinzione fra bene culturale (patrimonio artistico e paesaggistico) e spettacolo (cinema, teatro, musica). Si chiede inoltre cosa giustifichi, da un punto di vista ideologico ma soprattutto economico, il finanziamento allo spettacolo. Di più: si chiede se sia stata una conquista accorpare in un unico ministero la tutela dei Beni culturali e la promozione dello spettacolo. Conclusione: il sussidio pubblico è giustificato nel primo caso (l’eredità culturale da preservare anche a costo di sopperire al mercato) ma non nel secondo (lo spettacolo). O meglio, nel secondo, sono decisive considerazioni di politica industriale, a esempio «la protezione degli occupati di un settore giudicato per qualche motivo un settore sensibile». Ma è proprio la politica industriale a vacillare di fronte a produttori cinematografici «che non rischiano in proprio» o fondazioni liriche «distrutte dalle corporazioni sindacali».
Il dibattito, in fondo, recupera e aggiorna le opinioni autorevoli di Alberto Ronchey, ricordato da Stella-Rizzo e Battista: «Ho sempre chiesto un ministero che non si occupasse di tutto (...). Lo dissi anche al presidente del Consiglio Ciampi, che nel ’93 mi riconfermò nell’incarico quando cadde il governo Amato: pretendono che il ministero dei Beni culturali, ossia del patrimonio storico, debba fondersi con i resti del dicastero già dedicato insieme allo sport e allo spettacolo, con tredici enti lirici, innumerevoli compagnie di prosa, cinema, festival e circhi equestri che chiedono sovvenzioni a pioggia.

Ma si confondono così tutela e produzione, riversando sullo Stato il rischio d’impresa che tanto è costato negli ultimi anni. Produrre film a rischio di gravi perdite non è come conservare, tutelare, valorizzare un patrimonio di valore sicuro anche se d’incalcolabile portata».

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