Tutte le escort del clan D’Alema. Lui querela Il Giornale rilancia: "Discuteremo in tribunale"

Avviata nel 1999 l’indagine si è chiusa a tempo di record con un solo colpevole: la maîtresse. Per gli investigatori il giro di squillo serviva a assegnare appalti. D'Alema ci querela. Il Giornale: "Discuteremo in tribunale"

Tutte le escort del clan D’Alema. Lui querela
 
Il Giornale rilancia: "Discuteremo in tribunale"

Roma - C’è un’inchiesta, a Bari, che anziché restare riservata finisce sui giornali perché riguarda indirettamente un premier e/o persone a lui vicine presumibilmente in contatto con alcune prostitute. E c’è un’altra inchiesta, a Roma, che invece resta «sconosciuta» per quasi dieci anni e che riguarda l’entourage di un altro premier in contatto sicuramente con una scuderia di prostitute d’alto bordo. Il doppiopesismo mediatico-giudiziario cui si fa riferimento concerne un’inchiesta avviata nel 1999 dal pm capitolino Felicetta Marinelli e conclusasi il 4 ottobre 2000 con il patteggiamento a un anno della maîtresse R.F. che secondo l’accusa inviava sue «squillo» ai fedelissimi dell’allora presidente del Consiglio, Massimo D’Alema, per ottenere ritorni economici di vario genere.

Sono svariati i nomi eccellenti che tornano nei verbali d’interrogatorio e nelle intercettazioni disposte a seguito dei pedinamenti fin sull’uscio di Montecitorio da parte degli agenti della Squadra mobile: si va da Francesco «Franco» Mariani, un tempo responsabile dei trasporti del Pci-Pds e ora presidente dell’autorità portuale di Bari (revocato dal ministro Matteoli e reinsediato dal Tar) ai due ex soci del leader Massimo nella compravendita della barca Ikarus: innanzitutto, Roberto De Santis, pugliese ed eminenza grigia del leader Ds, già vicepresidente della finanziaria London Court, quindi nel cda della Spa portuale «Marina Blu» e poi in quello della società d’energia «Avelar Energy»; dopodiché Vincenzo Morichini, ex amministratore delegato del consorzio Ina-Assitalia, fondatore dell’Assonautica romana, da sempre vicinissimo a D’Alema. Nei brogliacci delle telefonate sbobinate a piazzale Clodio si fa anche esplicito riferimento ad alcuni episodi dove viene citato l’allora «segretario particolare di D’Alema», ovvero Nicola Latorre, oggi parlamentare del Pd. Nelle informative c’è spazio infine per i ruoli ricoperti dall’ex deputato Ds, Michele Giardiello e da un paio di funzionari ancor oggi nel partito di Franceschini.

Le persone di fiducia di D’Alema finite agli atti del procedimento numero 10498/99, a eccezione di Latorre, sono state prese a verbale come persone informate dei fatti direttamente negli uffici della Settima sezione della questura di Roma. Obiettivo degli inquirenti era infatti quello di capire se effettivamente la maîtresse facesse ricorso a ragazze a pagamento per «convincere» persone importanti a dare una mano alla sua agenzia di pubblicità nella gestione di eventi, convegni (la donna ne ha organizzato un paio per la Camera dei deputati) appalti e pubblicazioni per strutture come Alitalia, Banca di Roma, Enel, Eurostar, Ina-Assitalia, Acea, Inpdap, eccetera. Se l’allora dirigente della Mobile, Nicolò D’Angelo, era pressoché convinto dell’andazzo corruttivo («la donna che inequivocabilmente procura ragazze a molte persone organizzando incontri sessuali - scriveva in una informativa - utilizza tale “chiave di accesso” per ottenere dai destinatari di queste “attenzioni” che sembrano essere tutti ai vertici di strutture pubbliche o private, favori e indebite pressioni al fine di ottenere benefici economici nella forma di ghiotti appalti o incarichi ben remunerati») il pm Marinelli rimarcava: «Dalla lettura dei verbali emerge che R.F. utilizza le ragazze per organizzare incontri di carattere chiaramente sessuale con personaggi, di cui alcuni facenti parte del mondo politico, o aventi cariche in enti pubblici».

L’indagine, come tante nel sottobosco della prostituzione, nacque un po’ per caso. Solita routine: una soffiata, un accertamento, un’arida informativa. Poi arrivarono i pedinamenti, i telefoni sotto controllo, i riscontri su un’organizzazione di via Veneto diretta dall’austriaca Angelica W. e un centro massaggi dell’Eur dove venivano reclutate ragazze per i festini. E quel che sembrava un «normale» giro di squillo della Roma-bene, s’è rivelato presto un «problema» politico per tutti coloro che s’erano ritrovati tra le mani quel materiale scottante. In procura si accavallarono le riunioni. In questura gli accertamenti rallentarono bruscamente. L’ipotesi iniziale della corruzione venne presto derubricata in sfruttamento della prostituzione finalizzata a portare a casa contratti importanti con aziende private e istituzioni pubbliche.

I controlli sui telefoni dell’indagata vennero interrotti, la richiesta di rinvio a giudizio fu recapitata all’interessata, si arrivò al processo senza dare alcuna pubblicità all’esito finale. Con la maîtresse condannata, in tanti tirarono un sospiro di sollievo. Nessuno, nemmeno il preveggente D’Alema, poteva immaginare che a dieci anni di distanza potesse arrivare una simile «scossa».

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