di Settantamila manifestanti contro il governo del conservatore nazionalista Viktor Orbàn non sono pochi per la piccola Ungheria, che conta in tutto 10 milioni di abitanti. Ma da qui a scambiarle per lopinione pubblica dellintero Paese, come ieri hanno fatto quasi tutti i principali giornali italiani, ce ne dovrebbe correre. Invece no. Il Corriere parla tout court del «no degli ungheresi alle leggi di Orban», rammaricandosi che la reazione dellEuropa al «rischio dittatura» sia troppo blanda; la Repubblica esalta gli «Indignati di Budapest», denunciando «tagli alla cultura, leggi liberticide, censura» e assicurando che «la gente» (tutta, evidentemente) «non ci sta»; la Stampa sancisce che lUngheria è «avvelenata da un morbo antico», un autoritarismo antimoderno di stampo fascistoide.
Ricordando il modo distorto in cui la stampa estera era solita presentare ai suoi lettori i governi presieduti da Silvio Berlusconi, sorge il dubbio che anche in questo caso si stia facendo lo stesso tipo di interessata confusione. Perché un conto sono le critiche basate su fatti oggettivi, un conto i pregiudizi a senso unico: per esempio, Berlusconi era il (presunto) maniaco sessuale del bunga-bunga, anche per questo assolutamente «unfit to lead Italy», ma si dimenticavano le (niente affatto presunte) eleganti imprese erotiche di Bill Clinton o François Mitterrand. Per non dire dellAustria dei tempi di Jörg Haider, che i soloni di Bruxelles arrivarono a suggerire di punire per il suo governo di centrodestra non andandoci più in vacanza: nulla da eccepire invece se un partito comunista (magari amico di quello che fino a pochissimi anni prima faceva sparare addosso alla gente a Berlino) partecipava a un governo europeo.
Ma cosha fatto di così allarmante il signor Orbàn da spingere lUe a studiare sanzioni contro il suo Paese? Ha cambiato - in base a una procedura parlamentare perfettamente democratica dopo aver stravinto alle urne nel 2010 - la Costituzione e alcune leggi che regolano le elezioni, i media, la cittadinanza ungherese, leconomia. A Bruxelles (ma anche a Washington, come se fosse affar loro e stessero parlando di una Siria qualsiasi) sindignano e gridano alla democrazia in pericolo. Vogliamo vedere nel dettaglio di cosa stanno parlando? Nella Costituzione non si parla più di «Repubblica ungherese», ma di «Ungheria», e i guardiani della libertà ci vedono chissà quali sottintesi espansionistici, comprovati dalla concessione della cittadinanza alle minoranze ungheresi residenti nei Paesi limitrofi: ma quando la Germania di Schröder decise di punto in bianco di far diventare tedesco chiunque fosse nato anche per caso nel Paese, dando la cittadinanza a milioni di turchi o arabi che neppure parlano (per propria scelta) la lingua nazionale, a Bruxelles nessuno sindignò, e parve sgarbato far osservare che i voti di quei nuovi cittadini servirono al Cancelliere per rivincere di striscio le elezioni del 2002. In Ungheria non sarà più possibile il matrimonio tra omosessuali, che non risulta (ancora) essere un obbligo per alcun Paese europeo. Viene definita «vita umana» quella che inizia col concepimento, concetto almeno altrettanto rispettabile di quello sostenuto da quanti pretendono che essa cominci più avanti, anche se non sanno dire quando. La legge inasprisce il controllo del governo sui media, ma nessuno ricorda che la Germania infligge a chi infrange le sue leggi sui media multe ben più pesanti; o che in Francia e in Italia esiste un ente incaricato di vigilare sui media: proprio come in Ungheria. Ma solo lUngheria viene messa sulla graticola europea per «autoritarismo».
Più condivisibili sono le critiche in ambito economico. Le leggi volute da Orbàn pongono sotto il diretto controllo del governo la Banca Centrale. E sarebbero anche affari interni ungheresi, non fosse che il Trattato dellUe prevede lindipendenza delle banche centrali nazionali: non appare lecito aderire a unUnione e andar contro i suoi princìpi liberamente sottoscritti.
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