Tutti contro Israele, ormai è una moda

di Fiamma Nirenstein

Forza, diamoci giù. Quale migliore occasione per un attacco mondiale contro gli ebrei, pardon, contro Israele, di questo momento di frizione fra gli Usa di Obama, il presidente che con tutti i dubbi risultati ottenuti in politica mediorientale (Iran con i suoi mortali sberleffi, Siria e di conseguenza Libano che cadono in ambito iraniano, Turchia che passa all’islamismo, palestinesi sempre più radicalizzati...) non può tuttavia mai sbagliare. L’ultima ad essersi unita alle azioni diplomatiche antisraeliane è l’Australia, che con mossa inusitata si associa all’Inghilterra che ha cacciato il capo del Mossad (e pare che i Servizi agli ordini di Sua Maestà non siano per niente contenti) per dire che è allo studio un’azione fotocopia se risulterà che sono stati falsificati dagli israeliani anche passaporti australiani.
Intanto ci pensano i quotidiani britannici a sollevare l’opinione pubblica in favore di Miliband e del suo partito laburista fortemente antisraeliano e della notevole porzione elettorale dei musulmani immigrati. Il Daily Mail sottolinea per esempio come «Nessuno ha più bisogno di alleati di Israele circondata da nemici», e poi lo stigmatizza proibendogli di fatto di reagire agli attacchi: «Tuttavia invadendo il Libano (sgomberato nel 2000, ndr) e costruendo insediamenti nelle aree disputate di Gerusalemme... Tel Aviv (Tel Aviv?, ndr) sembra determinata a alienarsi ogni governo che le sia amica».
Sono davvero queste le ragioni? A guardarsi intorno sembra piuttosto che attaccare Israele garantisca un guadagno diplomatico e morale, di quella morale che piace alle maggioranze dell’Onu: Ban Ki Moon l’ha fatto di nuovo due giorni fa, di nuovo stigmatizzando Israele per gli insediamenti; la Ue invece di dispiacersi che la signora Ashton, suo nuovo ministro degli Esteri, si trovasse a Gaza proprio mentre da là veniva sparato il missile che ha ucciso il povero lavoratore thailandese nei campi di un Moshav di confine, ha prodotto mercoledì un’ennesima condanna di Israele per gli insediamenti. L’Onu nel frattempo lascia che sul suo sito appaia di nuovo, stavolta nella parte dedicata al Consiglio per i diritti umani, un documento di una delle sue Ngo (International Organization for all Forms of Race Discrimination Eaford) che come fece con un articolo privo di ogni fondamento che apparve sul giornale svedese Aftonbladet sostiene che gli israeliani rapiscono palestinesi, li uccidono e ne estraggono gli organi per farne commerci, che vengono definiti anche, secondo uno dei tanti stilemi antisemiti propri dell’articolo (congiura del sangue, teoria della cospirazione, ecc.) molto vantaggiosi. Non è finita: l’Unhcr, ovvero il Consiglio per i diritti umani dell’Onu, riunito a Ginevra nei giorni scorsi, e di cui è l’alto commissario la signora Navy Pillay, che recentemente è stata in visita nel nostro Paese coprendolo di accuse per le nostre, a sua detta, gravissime violazioni verso gli immigrati clandestini e i rom, ha di nuovo seguito la sua tradizione: già su 33 risoluzioni ne aveva dedicato 27 a Israele fra il 2006 e il 2009, adesso ne ha approvate ben 4 in una sessione tutte contro lo Stato ebraico. E nonostante le relazioni con gli Usa in questo momento diano evidenti segni di stress, pure i rappresentanti americani a Ginevra hanno accusato il Consiglio di trattamento discriminatorio nei confronti di Israele. Lo ha fatto l’ambasciatrice Eileen Chamberlain Donahoe che ha detto: «Siamo di nuovo terribilmente colpiti dal dovere assistere all’approvazione di risoluzioni così dense di elementi controversi e ispirati da una sola parte... Il Consiglio è troppo spesso usato come una piattaforma da cui accusare Israele».
L’Italia oltre a altri otto Paesi ha votato contro una delle quattro risoluzioni che accusa Israele di gravi violazioni nei confronti dei palestinesi, anche se però ieri il ministro Frattini ha chiesto «di fermare gli insediamenti». Si è invece astenuta sulla risoluzione che auspica la restituzione del Golan alla Siria, e meno male dato che l’argomento è fatale. Proprio ieri Assad di Siria ha minacciato Israele di guerra, e certo anche lui l’ha fatto sull’onda di un clima che ritiene favorevole per chiunque attacchi lo Stato ebraico. Sulle altre due risoluzioni, di cui una sull’autodeterminazione del popolo palestinese e l’altra sugli insediamenti, solo gli Usa hanno votato contro.
Al Consiglio per i diritti umani vigono e vincono sempre maggioranze islamiche e terzomondiste, capaci di dettare la loro agenda anche in maniera sottile e raffinata, come capita sul tema dei quartieri gerusalemitani ormai definiti da tutta la stampa internazionale “insediamenti”. Solo gli Usa, da prima dell’amministrazione Obama, hanno negli anni sempre accettato l’idea che le parti densamente abitate da ebrei siano destinate ad appartenere anche nel futuro allo Stato ebraico. E qui Obama entra in contraddizione con la sua stessa tradizione politica. Come ha detto ieri l’ex ministro degli Esteri laburista Shlomo Ben Ami, la differenza fra Clinton e Obama, lasciando da parte Bush, la si vede dai loro preti: la guida spirituale di Clinton che si fece promettere dal futuro presidente che avrebbe per sempre protetto Israele; quello di Obama, invece fortemente convinto di tutta una serie di posizioni antioccidentali e antiamericane che predicava nella sua Chiesa; in esse era sempre presente una forte diffidenza terzomondista contro lo Stato d’Israele.
Ma l’America non ha questo carattere nella sua storia politica. Dunque Obama si muove in maniera controversa, proprio come ha fatto con la riforma sanitaria.

La sua strategia di spingere Israele a concessioni preventive e di metterlo in un angolo, aiutato adesso da tutto il mondo, la sua speranza, che forse potrebbe realizzarsi, di cambiarne la maggioranza di governo introducendo la presenza di Kadima può anche avere successo, ma questo non cambia il problema di come raggiungere la pace, ed esso riguarda i palestinesi e il mondo arabo. Non Israele. Come mai nessuno usa la sua forza per premere sulla parte giusta?

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