Cultura e Spettacoli

Tutti i segreti di Donwood, il pittore «che non c’è»

I l 1995 è l’anno in cui in Gran Bretagna è successo davvero di tutto: la consacrazione della young British art nel tempio inglese dell’arte contemporanea, la Royal Academy, con Sensation; il Turner Prize vinto da Damien Hirst, che di questa scena è il numero uno; la pubblicazione degli album di maggior successo della due band di riferimento della scena Brit Pop, Blur e Oasis. Spostandoci da Londra alla provincia, precisamente ad Oxford, prende il via il sodalizio creativo tra i Radiohead, il gruppo rock-pop più importante degli ultimi vent’anni, e il designer e pittore Stanley Donwood.
Il «caso» Donwood non è di facile lettura. Un personaggio misterioso al punto che per un certo periodo si sono diffuse leggende sulla sua reale identità (qualcuno sosteneva si trattasse di un alter ego di Thom Yorke, leader dei Radiohead). Sconosciuto al circuito dell’arte, è molto noto nell’ambito dell’illustrazione (disegni per la letteratura dell’infanzia). Da un po’ di tempo in qua ha però rotto gli indugi, decidendo di esporre nelle gallerie. Prima personale assoluta in Italia, appena inaugurata a Mondo Bizzaro a Roma, dal titolo After the Red Maze, dove propone i suoi dipinti più recenti (fino al 30 novembre).
Quello che è certo, dopo che abbiamo visto l’artista ritirare il Grammy per il miglior packaging con l’edizione limitata di Amnesiac (album dei Radiohead) dipanando i dubbi sulla sua reale esistenza, è che nella migliore tradizione delle art rock band, Dan Rickwood, questo il suo vero nome, conosce Thom Yorke all’Università di Exter dove entrambi hanno studiato arte. Thom dipinge usando solo rosso, bianco e nero e ama Francis Bacon. Donwood invece trova le sue figure di riferimento in John Constable, Robert Rauschenberg, nella visionarietà di Peter Breugel e Jeronimus Bosch.
I due collaborano la prima volta in The Bends (1995), secondo album dei Radiohead. Donwood prende in prestito un manichino utilizzato nelle lezioni di anatomia e compone il booklet con immagini di un soldato cui viene praticata la defibrillazione. Bisogna aspettare solo due anni per il disco capolavoro Ok Computer (1997), dove la fantasia creativa di Donwood diventa un segno subito riconoscibile, la giusta appendice visiva ai suoni dei Radiohead. Su fondo bianco staglia le sue tipiche vedute urbane, dominate da frenesia e nevrosi, alternate a frammenti fotografici e simboli piuttosto difficili da decrittare. Kid A e Amnesiac, usciti dopo una lunga pausa a soli sei mesi di distanza tra 2000 e 2001, risulteranno alla fine i progetti più ambiziosi della band di Oxford anche per le straordinarie invenzioni delle copertine e dei booklet. L’immagine frontale di Kid A cita la pittura romantica di Caspar Friedrich, gelidi paesaggi innevati che appartengono a una sorta di non tempo metafisico. Il capolavoro grafico è però all’interno, impreziosito da carte di diversa tipologia e grammatura, piegate su se stesse fino ad assumere la forma di un piccolo e prezioso libro d’artista. Alla manipolazione cibernetica e al riassemblaggio delle fonti Donwood alterna il disegno «a mano libera» rifacendosi alle Prigioni del Piranesi, alla pittura surrealista di Max Ernst.
È pero la copertina di Hail To The Thief (2003) a rivelare la vena pittorica di Donwood che, nello stesso periodo, esordisce in una galleria di Barcellona insieme al «misterioso» Dr. Tchock dietro al quale si nasconderebbe Thom Yorke. L’edizione deluxe di In Rainbows (2007), già rarissima, è l’ennesimo gioiello.

La mostra romana, se qualcuno avesse ancora dei dubbi sul diritto di cittadinanza di Stanley Donwood nell’arte, fuga ogni residua incertezza.

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