Ucciso in auto: il padre e il figlio hanno visto il killer

Ucciso per vendetta. Alessandro Torni, il 43enne assassinato giovedì sera ad Ardea davanti al padre e al figlio era accusato di essere il killer di Mario Guzzon, 27 anni di Aprilia, ucciso nel 1999 sulla spiaggia di Tor San Lorenzo per un debito di droga. Condannato in primo grado a 25 anni, dopo che la Cassazione, nel marzo scorso, aveva annullato la sentenza confermata in Appello, da agosto era salito di nuovo sul banco degli imputati. A tirare in ballo Torni da un carcere di massima sicurezza, nel 2002, un pentito: Massimo Rosati che si autoaccusa del delitto.
Una vicenda piena di colpi di scena: l’uomo a sua volta era stato messo in mezzo dalla moglie di Torni, Francesca Di Lazzaro, che lo nomina per scagionare il marito. A quel punto Rosati confessa. L’uomo cerca di discolpare l’accusato numero uno del barbaro assassinio, Gennaro Bruno, condannato in I e II grado a 23 anni. «Quella notte ero sulla spiaggia con Alessandro Torni - dice Rosati -, sua moglie e un altro. Bruno non c’entra nulla». Versione che convince solo in parte i giudici, condizionati dalle prove rinvenute nell’auto di Bruno: sabbia compatibile con quella dell’arenile dove Guzzon viene ucciso con un proiettile calibro 6,75 alla nuca e poi dato alle fiamme. Bruno, positivo allo stubb, era stato visto mezz’ora prima del delitto in un pub assieme alla vittima. La versione del superteste, però, se non rimette in libertà Bruno permette agli inquirenti di ricostruire la tragica vicenda. Guzzon, uno spacciatore locale, deve 30 milioni di lire a Torni per una partita di cocaina. Non solo. Guzzon avrebbe avuto una relazione con la compagna di Bruno. Quando Torni va dal giovane di Aprilia questi non ha né la roba né il denaro. Torni, a quel punto, chiede aiuto a Rosati per dare una lezione al ragazzo e difendere l'onore dell’amico. È la notte di San Valentino del ’99. Il piano è semplice: un appuntamento allo stabilimento «il Gabbiano», qualche ceffone, le minacce di morte. Guzzon viene fatto inginocchiare vicino una Y10 rubata. Qualcosa non va per il verso giusto. Rosati racconta che Torni perde la testa. Tramortisce Guzzon con il calcio della semiautomatica, poi gli spara un colpo a bruciapelo. A quel punto gli altri lo finiscono esplodendo almeno 2 proiettili. Per assicurarsi la fuga i quattro (Torni, Rosati, Bruno e un quarto uomo, Dino Amarilli) lo cospargono di benzina e bruciano il cadavere. I carabinieri ci metteranno 3 giorni per scoprire l’identità della vittima. Bruno viene arrestato nonostante si sia sempre proclamato innocente. Dopo due condanne viene scagionato nel 2002 da Rosati. Ma nel 2005 torna di nuovo in cella. L’Alta Corte d’Assise d’Appello lo accusa di concorso in omicidio volontario. Con lui Torni, rimesso in libertà 9 mesi fa dopo 5 anni di arresti domiciliari. In attesa della fine del processo aveva l’obbligo di non lasciare Tor San Lorenzo dove viveva. Ogni giorno, mattina e sera, Torni si recava alla stazione dei carabinieri per firmare il registro dei pregiudicati sottoposti a restrizioni. L’occasione giusta per un agguato.

Accade tutto in una manciata di secondi: un’Alfa 164, secondo i familiari della vittima in auto con lui, lo costringe a fermarsi in una cunetta all’altezza delle Salzare. Un uomo scende e infila la canna di un revolver attraverso il finestrino semiaperto della Fiesta. Infine spara due colpi in rapida successione prima di scomparire nel nulla.

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