Ucciso con due colpi alla testa l’avvocato del processo Saddam

Era stato rapito giovedì sera a Bagdad. Timori per la prosecuzione del processo all’ex dittatore. Un altro rinvio per i risultati del referendum

Roberto Fabbri

Due colpi di pistola alla testa e al torace hanno posto fine alla vita di Saadoun Sughaiyer al-Janabi, l’avvocato rapito giovedì sera nel suo studio a Bagdad che difendeva un ex gerarca di Saddam Hussein indagato con lui per la strage di Dujail.
Il corpo di Janabi, che era uno dei tredici membri del collegio difensivo di Saddam presenti in aula mercoledì all’udienza di apertura del processo, è stato trovato a poca distanza dal suo ufficio, nel quartiere di Ur. Sembra che l’avvocato di Awad al-Bander, un ex giudice del tribunale rivoluzionario responsabile di una serie di condanne a morte comminate a seguito di un fallito attentato contro Saddam nel 1982, sia stato assassinato subito dopo il sequestro.
Nell’ambiente degli avvocati della capitale irachena Janabi, che era stato anche vice capo di gabinetto di Saddam Hussein, viene indicato come un vecchio amico personale del deposto dittatore. Il suo omicidio apre molti interrogativi. Un portavoce del governo iracheno, nell’esprimere la condanna dell’esecutivo, ha detto che al momento non è chiaro chi ci sia dietro al delitto e che è impossibile capire se lo scopo degli assassini fosse mettere degli ostacoli al processo contro Saddam, che dopo l’apertura è stato aggiornato al 28 novembre, o attuare una vendetta.
Il processo a Saddam a Bagdad è chiaramente un passaggio chiave della legittimazione del nuovo Irak democratico. L’ex dittatore non viene giudicato dagli occupanti o da un tribunale internazionale, ma dai suoi stessi compatrioti. È logico che si scatenino in questa occasione i nostalgici del regime, pronti a insanguinare ancora il loro Paese nel nome di Saddam Hussein. Ma in qualche modo è comprensibile, ammesso che sia questo ciò che è realmente accaduto, che pure coloro che vogliono vedere morto l’ex Raìs possano voler sfogare il loro odio anche verso chi difende in un tribunale il loro persecutore di un tempo.
Quello che è certo è che quanto accaduto conferma le difficoltà a far svolgere un processo equo in un Paese dove molte forze spingono per avvelenare il clima fino all’orlo della guerra civile. Ed è evidente che in un simile clima il lavoro degli avvocati difensori di personaggi implicati in capitoli drammatici della storia recente dell’Irak diventa particolarmente difficile. Subito dopo aver appreso dell’assassinio di Janabi, l’avvocato di Saddam Khalil al Dulaimi ha detto che i membri del collegio difensivo hanno ricevuto numerose minacce per telefono e per posta elettronica.
Continuano intanto gli sforzi della diplomazia per far uscire l’Irak dal vicolo cieco in cui si trova. Alcuni leader sunniti moderati, esponenti del Consiglio degli Ulema, hanno detto al segretario generale della Lega Araba Amr Moussa, in visita ieri a Bagdad, che intendono partecipare a una conferenza di riconciliazione nazionale organizzata al Cairo per il 15 novembre. Quel giorno giungeranno nella capitale egiziana anche diversi ministri degli Esteri di Paesi arabi preoccupati dalle conseguenze dell’insopprimibile violenza in Irak. Altri gruppi, invece, pongono condizioni impossibili da soddisfare per la loro partecipazione, tra cui il ritiro delle truppe americane. Quanto ai movimenti più duri, non sono chiaramente interessati ad altro che alla prosecuzione della violenza che la conferenza del Cairo cercherà di ridurre, e quindi non parteciperanno ai colloqui. Moussa si è detto comunque soddisfatto del sì degli ulema sunniti e ha espresso ottimismo.
Quanto ai risultati del referendum sulla Costituzione irachena di sabato scorso, che erano attesi per ieri, la Commissione elettorale ha annunciato un ulteriore ritardo di un paio di giorni per la loro pubblicazione.

Sono stati ordinati accurati conteggi delle schede dopo che movimenti politici sunniti hanno denunciato frodi che a loro dire mirerebbero a far approvare a ogni costo la Carta che essi considerano inaccettabile.
Infine, il triste aggiornamento del bollettino delle vittime sul campo: con la morte ieri di tre marines e di un soldato, il totale dei caduti americani in Irak dal marzo 2003 sfiora ormai i duemila.

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