Gabriele Villa
nostro inviato a Kiev
Ci sono, evidentemente, molti modi per sbattere la porta in faccia a qualcuno. E Viktor Yanukovic lha fatto, avantieri sera, con una smorfia beffarda che gli illuminava il volto. È apparso in video poche ore prima che sullUcraina calasse il coprifuoco della riflessione acciocché, nella vigilia delle elezioni politiche, ognuno potesse ragionare con la propria testa, in santa pace. Ed è riuscito, in una manciata di minuti, a pronunciare una dichiarazione di guerra con la naturalezza di chi butta lì un invito a cena. «Tutti voi avete davanti un Paese in rovina, tradito dalla rivoluzione arancione. Abbiamo passato un anno di inganni e di umiliazioni, ora finalmente possiamo riscattarci. E lo possiamo fare in un solo modo: ristabilendo relazioni salde con la Russia e con tutti gli altri Paesi dellex blocco sovietico. Abbiamo bisogno di loro, dei loro mercati. La Russia e non l Europa è lunico interlocutore credibile per lUcraina».
Torna il sorriso sulle labbra di Putin, esulta il popolo azzurro che da Donetsk a Lugansk, a Kharkov non aspettava altro che un segnale di riscossa dopo la cacciata, con ignominia, dalle stanze dal potere per via di quella sciocchezzuola dei brogli. Smascherata proprio dalla gioiosa rivoluzione arancione del novembre 2004. Poco importa se, anche sul voto di oggi in Ucraina aleggia ancora lo spettro delle pastette, il passato sembra già trapassato per Yanukovic che ha incassato luscita di scena meditando, fin da subito, un ritorno in grande stile sulla scena politica con il suo Partito delle Regioni.
E così, pacato, sicuro di avere già in tasca la vittoria che i sondaggi gli accreditano con il 30 per cento, mena il suo affondo contro gli arancioni un poscoloriti. Come il loro leader, Viktor Yushcenko che, in una cornice scenografica grigio-nera, accanto alle bandiera del presidente e dellUcraina, seduto a una scrivania pure grigia, ha letto un discorso piuttosto soporifero. Lontano anni luce da quelle arringhe frizzanti e sarcastiche che ci eravamo abituati ad ascoltare un anno mezzo fa nella piazza dellIndipendenza.
Forse la spiegazione di questo disorientamento sta esattamente nel mezzo. Dal carro del vincitore è scesa, o meglio è stata scaraventata nove mesi fa lanima ribelle che aveva dato smalto e aggressività al movimento orangivin, quella Yulia Timoshenko che, non a caso, negli scampoli conclusivi e decisivi della battaglia elettorale, ha disertato talk show televisivi e comizi. Ancora una volta sarà lei lago della bilancia per dar corpo ad alleanze che, nella nuova Rada, il Parlamento ucraino, potrebbero mettere in serio imbarazzo proprio il suo ex compagno di cordata e oggi capo dello Stato, Yushcenko. Perché in base alla Costituzione, recentemente emendata, sarà la Rada dora in poi a decidere la nomina del premier, del ministro degli Esteri e di quello della Difesa. Le tendono la mano da una parte e dallaltra, e lei, Yulia, forte del 10,4 per cento che i sondaggi le attribuiscono sa che può fare la differenza e se ne sta tranquillamente alla finestra. Addirittura alla finestra della sua casa natale di Dnepropiotrow, nellUcraina centrale, dove, snobbando la possibilità di farlo a Kiev, ha deciso di andare a votare stamane. Sempre che almeno lei possa votare. Come vorrebbero e dovrebbero farlo 34 milioni di ucraini. Peccato che la macchina elettorale si sia casualmente ancora una volta inceppata.
Un dieci per cento delle commissioni elettorali deve essere ancora completato, ottocentomila residenti in Crimea si sono ritrovati cancellati dalle liste elettorali dopo che i loro nomi e cognomi sono stati tradotti allultimora in ucraino. E che dire di quei 1.908 iscritti nel seggio elettorale 103 di Sebastopoli che dovranno votare in un appartamento ammobiliato di tre stanze?
Oggi in Ucraina, lo ricordiamo, si corre anche per le amministrative.
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