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Ucraina, Mosca alza la voce contro il decreto di Yushcenko

Putin telefona al collega di Kiev e chiede «la più rapida normalizzazione possibile»

Vladimir Putin rompe il silenzio dopo un secondo, improduttivo faccia a faccia tra i «due Viktor» protagonisti della grave crisi istituzionale a Kiev e dopo che il Parlamento russo si era espresso sulla presunta incostituzionalità del decreto presidenziale che scioglie quello ucraino. Il presidente russo ha telefonato a Viktor Yushcenko chiedendo «la più rapida normalizzazione possibile» e che tutti gli organi del potere ucraino risolvano la crisi «esclusivamente con mezzi politici e costituzionali e con un dialogo costruttivo».
Poco prima Yushcenko aveva confermato la data del 27 maggio per le contestate elezioni anticipate. Né lui né il suo rivale e premier Yanukovich hanno rilasciato dichiarazioni dopo il colloquio di un’ora di ieri, che ha fatto seguito a quello prolisso e ugualmente inutile di martedì scorso. In compenso il presidente della Repubblica ha continuato a far mostra di determinazione, respingendo i tentativi della Rada di continuare a legiferare. E questo nonostante Yanukovich si fosse rimangiato la sua stessa idea di ricorrere a una mediazione internazionale e avesse fatto votare dai suoi deputati l’abolizione della norma che rende possibile il «cambio di casacca» dei deputati e il sì a manovre militari multinazionali in Ucraina, negato due giorni prima.
Prima di Putin aveva fatto sentire la sua voce in stile Grande fratello la Duma, il Parlamento di Mosca, esprimendo «una posizione nettamente negativa sui tentativi di risolvere una crisi politica attraverso lo scioglimento di un organo legalmente eletto». Per i deputati russi «la Corte Costituzionale ucraina si trova di fronte a una scelta politica, non giuridica». Dichiarazioni che pongono fine alla scelta di cautela fin qui attuata da Mosca nei confronti della crisi politica della vicina Repubblica ex sovietica.
La prudenza russa veniva spiegata soprattutto con la volontà di non ripetere l’errore compiuto nel 2004, quando l’esplicito sostegno fornito al candidato filorusso Yanukovich venne interpretato come un’indebita ingerenza da molti elettori ucraini e favorì la vittoria del suo avversario Yushcenko. Ma molte cose sono cambiate da allora. Le troppe promesse fatte dal leader della «rivoluzione arancione» non sono state mantenute, l’Ucraina continua a rimanere fuori dalla porta dell’Unione europea e della Nato, il male endemico della corruzione continua ad imperversare e, come se non bastasse, Yushcenko e la sua principale alleata Yulia Tymoshenko sono riusciti a litigare in modo disastroso. Ciò ha favorito alle elezioni dell’anno scorso la rivincita di Yanukovich, creando una difficile situazione di coabitazione tra un presidente filoccidentale e una maggioranza parlamentare filorussa; situazione aggravata dall’«acquisto» di diversi deputati arancioni che sono andati a ingrossare le file dei sostenitori di Yanukovich fin quasi a permettergli di raggiungere il quorum per modificare la Costituzione e limitare i poteri del Presidente.
Così si spiega la mossa da giocatore d’azzardo di Yushcenko, che ha deciso di sciogliere il Parlamento dopo essersi accordato per una salda riedizione dell’alleanza con la bionda pasionaria Tymoshenko. Yushcenko non sembra però aver fatto i conti con gli elettori. Secondo i sondaggi oggi il partito di Yanukovich avrebbe il 35% contro il 25% di quello della Tymoshenko e il misero 5,4% di quello di Yushcenko.

In ipotetiche presidenziali, poi, Yanukovich vincerebbe il primo turno col 34%, contro il 22% della Tymoshenko e il 10% dell’attuale baldanzoso capo dello Stato.

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