Gabriele Villa
nostro inviato a Kiev
Si distillano, nella notte (alle 21 locali eravamo al 49% dello spoglio) le schede elettorali dalle urne dUcraina e, nelle segrete stanze di anonimi palazzi di Kiev si compone il puzzle della nuova coalizione che prenderà le redini del Paese. Il primo dato di fatto inconfutabile è il tramonto, soltanto 14 mesi dopo le immagini che fecero il giro del mondo, della gioiosa rivoluzione arancione.
Viktor Yushcenko che, dopo quella vittoria, occupa oggi la poltrona di presidente, è uscito sonoramente battuto dalla prova delle urne. Superato non solo, come previsto, dal suo storico rivale, Viktor Yanukovic (il suo Partito delle regioni è primo con il 27,39%) ma, soprattutto e inaspettatamente, dalla sua ex compagna di piazza e di protesta, Yulia Timoshenko.
La pasionaria dal look che fa tendenza, sospinta dagli elettori al 23,43%, ma il cui blocco arancione potrebbe, a scrutinio completato, addirittura sorpassare lo stesso Yanukovic. A conti fatti, dunque, Yushcenko per ricostituire una solida maggioranza arancione ha bisogno unaltra volta di Yulia (che già rivendica la poltrona di primo ministro) e di un altro partner fondamentale, il socialista Alexander Moroz, per ora attestato sulla soglia del 7% ma che, stando ai segnali che giungono dal sud del Paese, potrebbe raggiungere anche il 10.
Ma intanto è spuntato il simbolo della grande sorpresa, un bel Cuore rosso pennellato di bianco, che appartiene a quella sorta di araba fenice di Yulia. Togliendosi lennesimo sfizio, frutto del suo caratterino tuttaltro che docile, ieri la Timoshenko si è fermata per assaporare la rivincita su Yushcenko. La signora dalle bionde trecce si è accovacciata su una delle sue poltrone preferite nella sede della Filarmonica. Palazzo dalla posizione strategica, dove ci si può godere lo spettacolo dei portaproposte che, alla Casa Ucraina, proprio di fronte, stanno sfilando in processione.
E ha sentenziato: «Yushcenko non ha scelta: tutti insieme facciamo 255 seggi, una larga maggioranza alla Rada. Quindi non deve aspettare troppo, se non vuole che accada come nel 2002, quando, proprio per la sua indecisione, andò al potere Kuchma». Poche ma chiarissime parole.
Quanto al «gentiluomo» Moroz, 62 anni, non è nemmeno andato a dormire dopo lestenuante notte elettorale. Eppure, quando ce lo troviamo di fronte, nella tarda mattinata, è impeccabile. Una cravatta per ogni occasione, quella di ieri era vagamente berlusconiana, un sorriso che non è mai di circostanza ma è per la circostanza. È uno che naviga con molta attenzione, Alexander Moroz: spallate che sono scossoni salvifici. Non urla a vuoto, ma dà sciabolate, secondo la nobile arte della scherma. Che - e lex presidente Kuchma ne sa qualcosa - centrano sempre il bersaglio. È il suo modo dagire. Altrimenti non si sarebbe mai meritato, negli anni, un appellativo, che da queste parti viene usato con parsimonia.
Lui sa bene di essere al centro dellattenzione. In altre parole, lo guardano con fare ammiccante da due opposte sponde. Se la leader progressista, Natalya Vitrenko, per ora fuori dai giochi col suo 2%, strilla a gran voce di essere stata vittima di brogli elettorali, Moroz ha vinto bene. E il suo partito socialista è ancora una volta al centro del ring. Alleato-chiave per Yushcenko, ma naturalmente anche per Yanukovic. Che («siamo aperti a tutte le forze politiche che vorranno collaborare con il Partito delle regioni») prova almeno i corteggiamenti del caso. Eppure le idee di Moroz, che negli anni sono mai cambiate, non dovrebbero essere gradite in egual misura ad arancioni e azzurri. Tanto più che nel primo giro di consultazioni, avviato su incarico del presidente per ipotizzare la futura coalizione, il premier Yuri Ekhanurov si è sentito riconfermare da Moroz lintenzione di rispettare il patto, sottoscritto alla vigilia elettorale, con Nostra Ucraina di Yushcenko, a sostegno del governo che verrà. Oggi ci sarà il secondo giro di consultazioni.
Solida e rocciosa formazione nellallevamento ideologico dellex partito comunista sovietico, Moroz ora punta tutto su un modello di Stato sociale che si ispira alla Svezia e alla Danimarca.
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