Uggè, l’ex sindacalista che ha cancellato gli scioperi dei camionisti

«La sinistra parla di sviluppo poi si oppone a tutto quello che serve. Loro chiacchierano, noi facciamo. Prodi? Non vincerà»

Uggè, l’ex sindacalista che ha cancellato gli scioperi dei camionisti

L’abito non farà il monaco, ma il doppiopetto rispecchia Paolo Uggè. Mi riferisco al doppiopetto con cui mi viene incontro nel suo ufficio di sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti. Per la cronaca, un distinto doppiopetto scuro con spacchetti. Ma il punto è un altro. Il doppiopetto è, per sua natura, un ibrido: serve da giacca, però ha i baveri come il cappotto. Anche Uggè è un incrocio. Nasce sindacalista della Cisl. «Ma la Cisl, negli ultimi anni '70, diventa estremista e io la mollo», racconta il cinquantasettenne Uggè, sopracciglia nere, capelli grigi con la riga. Si ricicla nella Fai, la Federazione degli autotrasportatori e svolta di 180 gradi. Con la Cisl si occupava di dipendenti, con la Fai di imprenditori. Fa carriera e diventa segretario generale della Fai. Cioè il Montezemolo dei Tir e, esattamente come Montezemolo, sermoneggiava sui governi pigri e inetti. Poi nel 2003, ha cambiato ancora barricata e si è trasferito proprio nei ranghi del governo.
Questo è Uggè. Un po’ giacca, un po’ cappotto, come il doppiopetto.
«Digiuno di politica, lei è diventato sottosegretario al primo colpo. Ha santi in paradiso?», chiedo, mentre rifiuto un caffè e prendo posto.
«Mi ha voluto Berlusconi a metà legislatura. Da decenni non ci si occupava più dell’autotrasporto», dice.
«Il Cav la tratta coi guanti bianchi», e indico la stanza. È grande come tre, bei quadri, sedie di cuoio stile rinascimento.
«Era l’ufficio del ministro dei Trasporti, prima che il ministero fosse accorpato ai Lavori pubblici. La scrivania è quella che usava Galeazzo Ciano da ministro degli Esteri», dice compiaciuto.
«È amico personale del Cav?».
«L’ho conosciuto nel '94, durante una vertenza della Fai col suo primo governo. La risolvemmo bene e nacque una simpatia reciproca. Tre anni fa, mi telefonò Gianni Letta domandando se volevo entrare nell’esecutivo. D’accordo col Fai, ho accettato».
«Cos’era prima di iscriversi a Fi?».
«Non sono iscritto. Sono in quota Fi, ma come tecnico. Finché è esistita, ero per la Dc. Mi appassionai a 21 anni agli scritti di De Gasperi...».
«Triste modo di trascorrere la gioventù», osservo.
«La sua biografia mi entusiasmò. Ogni volta che sono a Trento, passo a dare un saluto alla sua statua. È uno dei grandi del Paese», dice compreso.
«Affinità tra montanari. Lei è valtellinese».
«Onorario. Dall’89, abito a Teglio in quel di Sondrio. Ma sono milanese purosangue. Anche se mamma è bergamasca, papà era di Milano. Io ci sono nato, ho studiato e lavorato. La stessa Valtellina in passato era sotto la Curia milanese. Per cui, sono a Milano anche lì».
«Soddisfatto della sua esperienza governativa?».
«Molto. Ho sbloccato nell’autotrasporto quello che era fermo da decenni. Abbiamo messo attorno a un tavolo gli interessati, imprenditori e camionisti, e preso decisioni competenti. Con tale successo che nella legislatura non c’è mai stato uno sciopero».
«Che avete fatto di così taumaturgico?», chiedo.
«Liberalizzato il trasporto di persone e merci. Chi vuole creare un’azienda non deve più sottostare alla discrezionalità della pubblica amministrazione. Basta dimostri capacità finanziaria, professionalità e onorabilità. Abbiamo liberalizzato anche le tariffe, creando vera concorrenza».
«Resta il cancro dei taxi. Sono rari come panda, ma la lobby dei tassisti non vuole nuovi permessi», protesto, non trovandone mai uno libero.
«Vero. Ma è un problema delle amministrazioni locali. Il governo può solo fare una legge quadro», dice.
«Siamo tutti stufi di assiderarci aspettandone uno», ribatto.
«Non è semplice. Una licenza taxi costa tra i 170 e i 250 milioni di lire. Se si liberalizza, il valore si azzera e chi l’ha comprata con sacrificio, resta con un pugno di mosche. Bisognerà trovare un accordo coi tassisti», dice Uggè. Spegne il cellulare e accavalla le gambe, pronto per l’intervista.
I camionisti sono pericoli pubblici.
«Percezione diffusa. Ma, dati Istat alla mano, i mezzi pesanti sono responsabili solo del sette per cento degli incidenti».
Però, fanno stragi. Con la vostra liberalizzazione, le probabilità aumentano.
«Abbiamo contemporaneamente investito sulla sicurezza. Oggi, 17 centri di “revisione mobile” circolano di continuo sulle strade».
Cos’è questa revisione mobile?
«Camion attrezzati che fanno tutti i controlli, dalla revisione fumi a quella dei freni. Costano un miliardo l’uno. La cosa notevole è che sono pagati dagli stessi autotrasportatori, consapevoli che con più libertà ci vuole anche più sicurezza».
Come funzionano i controlli?
«I camion, accompagnati da funzionari dei Trasporti e agenti Polstrada, fermano i Tir e verificano se siano in regola. In due anni, 18.000 controlli. Chi sbagliava, ha pagato salato».
Una sua invenzione?
«Il centrosinistra li aveva parcheggiati nelle Motorizzazioni. Io li ho messi in attività. Altri dieci saranno in circolazione entro l’anno. Ce ne sarà uno per Regione e sette per le emergenze. Liberalizzazione e severità».
Ci sono i maledetti che guidano col telefonino e i vigili se ne impippano.
«Violano il loro dovere di ufficio. Bisognerà prevedere che le assicurazioni, in caso di incidente da cellulare, abbiano diritto di rivalsa sul guidatore che lo ha provocato».
Intanto, fate la sciocchezza di vietare di salire in due sugli scooter «cinquantini».
«Stendiamo un velo pietoso».
Ora, dopo sei mesi, togliete il divieto.
«Spero che la correzione ci penalizzi meno alle elezioni».
Il suo ministro, Lunardi, che tipo è?
«Un signore calato in una realtà non sempre composta da signori. Mi riferisco alla realtà in genere, non escludendo i politici».
Lunardi ha annunciato molto e fatto meno.
«Ma taccia! Ha messo in cantiere opere per 52 miliardi, contro sette della legislatura precedente. Ha inserito ben quattro progetti italiani nella grande rete di trasporti Ue».
Vi siete riempiti la bocca col Ponte di Messina. Ma è in alto mare, mentre 50mila messinesi hanno detto no.
«Quei messinesi sono come gli anti Tav di Val di Susa. Ci sono opere utili che si proiettano nel futuro del Paese. Capacità di un politico è capirlo. L’Ue ha incluso il Ponte nel tratto Berlino-Palermo».
Prodi ha detto che se viene lui, niente Ponte.
«La sinistra parla di sviluppo, poi si oppone a quello che serve per averlo. Gli italiani scelgano se vogliono stare in Europa o azzopparsi come è successo col no al nucleare».
La tratta Torino-Lione è stata mal preparata e i valsusotti la boicottano.
«Colpa della ds Bresso, presidente del Piemonte. Per vincere le regionali ha promesso una moratoria. Ha creato false aspettative per scopi puramente politici».
Alitalia è sull’orlo del fallimento.
«Colpa degli scioperi antigovernativi della Triplice. Mettono a rischio i posti di lavoro di quelli che rappresentano. Ma noi speriamo di salvare Alitalia e i lavoratori».
I treni sono trappole mortali e ricettacolo di pidocchi.
«Frutto di scelte passate che hanno ingessato le ferrovie. L’attuale management sta cercando di risolvere. Per fare un treno ci vogliono tre anni. Gli effetti si vedranno più in là».
Conclusione, Lunardi, lei e tutto il ministero siete bocciati?
«Saranno gli italiani a smentire questa stupidaggine, col consenso che ci arriverà dalle elezioni».
Diminuire il trasporto su gomma è sempre una priorità o bisogna ancora nutrire Fiat-Iveco?
«Assoluta priorità. Questo governo ha, primo nell’Ue, stanziato 400 milioni per le autostrade del mare e 160 per il trasporto ferroviario. Gli autotrasportatori che dirottano merci su navi e treni avranno sgravi sui noli e rimborsi. Se ne parlava da anni. La sinistra chiacchiera, noi facciamo».
Lei è ragioniere. Che intendeva fare?
«Tutto salvo il ragioniere. Tant’è che ho fatto il consulente del lavoro e il pubblicista. Ero studente lavoratore e mi sono diplomato alla bella età di 26 anni. Ma, almeno, con 60 su 60».
Poi ha avuto una laurea ad honorem in Scienze politiche della Pro Deo di New York. Una patacca?
«Ero iscritto a Scienze politiche alla Statale. Poi, è arrivato il riconoscimento per la mia attività. Pro Deo è un’università italo-americana. A conferirmi la laurea a Milano è stato un vescovo».
La Cdl è in affanno. In che ha sbagliato?
«Non siamo stati capaci di comunicare il tanto che abbiamo fatto. Lavorato molto, illustrato poco».
Il Cav si mostra ottimista per le elezioni.
«La gente capisce quello che è utile per il Paese. Quindi, voterà Cdl».
La Sinistra è sicura di vincere.
«Un convincimento. Saranno delusi».
La faccenda Unipol, anziché indebolire, ha rafforzato i Ds?
«Nenni diceva: “Piazze piene, urne vuote”. Non si governa con un caravanserraglio: Bersani da un lato, Pecoraro dall’altro. Noi siamo la progettualità, loro la fumosità».
La Procura ha definito irrilevante la denuncia del Cav su Unipol.


«Gesto responsabile che ha rivelato al Paese quello che si voleva tenere nascosto».
Il Cav ha fatto il suo tempo?
«Ha una forza che non ha nessuno: concretezza, determinazione, convinzione di essere nel giusto».
Se vince, che si aspetta di buono da Prodi?
«Niente. Ma non vincerà».

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